Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 10 marzo 1995

Non è incompatibile con il principio di laicità portare negli
istituti scolastici, da parte degli studenti, segni di appartenenza
religiosa nella misura in cui non venga compromesso l’ordinato
svolgimento dell’attività di insegnamento. Pertanto, qualora il
suddetto limite venga violato il provvedimento di espulsione assunto
dalle competenti autorità scolastiche risulta essere legittimo.

Sentenza 17 settembre 1996

La condanna di appartenenti alla Confessione religiosa dei Testimoni
di Geova che avevano aperto e officiato un edificio di culto senza la
richiesta autorizzazione delle autorità ortodosse e del Ministro
dell’educazione e degli affari religiosi viola l’art. 9 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce la libertà
religiosa o i mezzi impiegati per esprimerla; non può essere
considerato pertanto uno scopo legittimo comprimere direttamente
l’esercizio della libertà religiosa né uno strumento necessario in
una società democratica coinvolgere in una procedura autorizzativa
l’autorità ecclesiastica della religione dominante.

Decisione 03 maggio 1993, n.16278/90

Non contrasta con la libertà di religione, tutelata dall’art. 9
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la disposizione
regolamentare con la quale una università laica – al fine di
assicurare il rispetto dei diritti di libertà di tutti i suoi
studenti – impone che anche il diploma da essa fornito non rifletta in
alcun modo l’appartenenza ad un determinato movimento religioso e
che quindi la foto in esso riprodotta raffiguri l’allievo a capo
scoperto in una tenuta conforme alla detta norma regolamentare.

Decisione 09 settembre 1992

Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo. Decisione 9 settembre 1992, “Sluijs c. Belgio”: Obbligo di frequenza dei corsi di religione e diritto del genitore a chiedere la dispensa per il figlio. L’art. 2 del Protocollo Addizionale alla CEDU non impedisce agli stati di diffondere informazioni o conoscenze che abbiano, direttamente o non, carattere religioso o filosofico […]

Sentenza 18 giugno 1993

A norma del comma terzo dell’art. 49 della Costituzione federale
spetta ai genitori il potere di disporre della formazione religiosa
dei figli fino al compimento del sedicesimo anno di età; pertanto
sussiste la legittimazione ad agire dei genitori in nome proprio o
quanto meno a nome del figlio minore per la tutela della libertà di
coscienza di quest’ultimo. Quando l’ordinamento confessionale
detta una disciplina in contrasto con quella statale, come, nel caso
di specie, il divieto imposto dall’Islam ai bambini di sesso diverso
di nuotare insieme, mentre ciò è disposto dalle norme dello stato a
livello di scuola dell’obbligo, il civis fidelis è tenuto a
sottomettersi in linea di principio alle norme statali; il rispetto
del valore della libertà di coscienza comporta tuttavia l’obbligo
per le istanze pubbliche di concedere una dispensa, ove questa non
pregiudichi un ordinato ed efficiente svolgimento del servizio
scolastico. In particolare, non è legittimo ritenere a priori che
tale pregiudizio si verifichi nel caso in cui la presenza di un alto
numero di membri di minoranze confessionali faccia intravedere il
rischio di una eccessiva dilatazione delle richieste di dispensa. Del
resto, il principio di integrazione degli stranieri nel contesto
svizzero non comporta come regola generale che nell’osservanza delle
loro convinzioni religiose essi debbano sottoporsi a limitazioni
sproporzionate.

Sentenza 12 maggio 1995

La Corte Suprema, incaricata di controllare un progetto di legge
regolante il diritto all’informazione per i servizi relativi
all’interruzione volontaria di gravidanza disponibili al di fuori
dello Stato (Regulation of Information Bill – Services outside the
State for Termination of Pregnancies), dopo aver rilevato che tale
progetto di legge persegue lo scopo esclusivo di tutelare la libertà
di ricevere o di fornire informazioni indipendentemente dall’uso che
ne verrà fatto, ha stabilito che lo stesso non è di per sé né
contiene disposizioni volte a fornire indicazioni obiettive che non
promuovono in alcun modo la pratica dell’interruzione volontaria della
gravidanza, realizza il diritto dei cittadini di ricevere e di fornire
informazioni e non può essere considerato lesivo dei principi
costituzionali.

Sentenza 06 febbraio 1996

Il fatto che un membro di Scientology compia azione di volantinaggio e
di propaganda sulla pubblica via, non è un’illecita operazione
commerciale compiuta in violazione del Codice della strada, ma attiene
ad una delle facoltà del diritto di libertà religiosa. La Chiesa di
Scientology si autofinanzia esclusivamente attraverso la vendita di
materiale informativo e di corsi di formazione spirituale, senza che
queste attività possano essere considerate a fine di lucro, dal
momento che nessun membro ne ottiene un vantaggio economico personale
e diretto.

Pronuncia 02 maggio 1995, n.27

L’art. 10 C.A.P. protegge le convinzioni religiose non già come
bene della collettività o della sua maggioranza ma come bene
individuale riconosciuto come prioritario per tutti i cittadini non
escludendo l’uso in pubblicità di ambientazioni o richiami alle
pratiche religiose che sono entrate a far parte della comune
esperienza di vita.Il messaggio pubblicitario che non ingenera
un’impressione globale di volgarizzazione di formule, luoghi,
persone o immagini sacre, che non strumentalizza il luogo di culto, le
pratiche di devozione, le persone e le immagini e non ne fa oggetto di
irrisione non viola l’art. 10 C.A.P.

Pronuncia 21 aprile 1995, n.80-102

Il messaggio pubblicitario che enfatizza elementi di indubbia
volgarità accostandoli alla rappresentazione di una religiosa offende
la dignità personale delle suore e le convinzioni religiose di una
gran parte dei cittadini. La violazione dell’art. 10 C.A.P. ne
giustifica l’ordine di cessazione.

Pronuncia 07 marzo 1995, n.2

Costituisce offesa delle convinzioni religiose dei cattolici
l’irrisione del dogma della verginità della Madonna ottenuta
tramite l’utilizzazione di un’immagine della Santissima Vergine
accompagnata dalla scritta “Like a vergin” e dall’accostamento del
tema della verginità mariana ad operazioni di chirurgia
ricostruttiva.L’irrisione del dogma della persistente verginità di
Maria, che viene spogliato di ogni significato mistico, e la
pubblicazione dell’inserto pubblicitario nel giorno
dell’immacolata concezione, si pone in evidente contrasto con
l’art. 10 C.A.P. giustificando l’ordine di cessazione.L’uso,
nella comunicazione pubblicitaria, di immagini e di enunciati che,
anche in ragione della concatenazione degli stessi e
dell’associazione a ricorrenze profondamente radicate nel sentimento
collettivo, sono percepiti dal pubblico come fortemente conflittuali
con i convincimenti della società civile generano discredito sulla
pubblicità come istituzione culturale violando, pertanto, l’art. 1
C.A.P.