Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 26 giugno 1995

La mancata equiparazione della materia di religione alle altre materie
fondamentali, nei piani di studio della Scuola Universitaria per la
formazione dei docenti, come previsto dall’Accordo del 3 gennaio 1979
tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo su insegnamento e affari
culturali, viola il diritto dei genitori a che i loro figli ricevano
la formazione religiosa e morale in conformità alle proprie
convinzioni (art. 27, co. 10 Cost. spagnola), e la suddetta
equiparazione costituisce un obbligo derivante da un Trattato
internazionale celebrato dallo Stato spagnolo nell’esercizio legittimo
delle competenze che la Costituzione gli attribuisce (art. 149).

Sentenza 30 giugno 1994

Le norme regolamentari del Real Decreto 1006/1991 (art. 7 e art. 14,
commi 1 e 3) sono illegittime per violazione del principio della
certezza giuridica (art. 9, comma 3 Cost.), in quanto non specificano
in che consistono le attività di studio alternative
all’insegnamento facoltativo della religione cattolica nelle scuole.
Dette norme regolamentari sono altresì illegittime in quanto non
attuano la Legge Organica n. 1/1990 (Disposizione addizionale II) che,
rinviando all’Accordo sull’Insegnamento e Affari Culturali,
sottoscritto tra lo Stato spagnolo e la Santa Sede il 3 gennaio 1979,
stabilisce che l’insegnamento della religione cattolica deve essere
obbligatoriamente organizzato dalle scuole in condizioni equiparabili
alle altre discipline. Invero, tale equiparazione non sussiste laddove
la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica non
concorre in uguale misura delle altre materie nel curriculum degli
alunni; e quando gli alunni che hanno optato per l’insegnamento
religioso sono privati dell’opportunità di un miglior apprendimento
delle materie complementari, al cui approfondimento siano destinate le
attività di studio alternative ad esso; ne consegue che le norme
impugnate violano altresì il principio costituzionale di uguaglianza
(art. 14). Inoltre, facendo obbligo ai genitori degli alunni di
scegliere, all’atto della iscrizione alla Scuola Primaria, tra
l’insegnamento della religione cattolica e le “attività di studio”
alternative, detta disciplina regolamentare viola il diritto degli
studenti a non dichiarare la propria religione né a manifestare quali
siano le proprie convinzioni religiose, garantito dall’art. 16 Cost.

Sentenza 24 giugno 1994

Le norme del Real Decreto 1006/1991 che rinviano al disposto degli
Accordi con le confessioni religiose per la disciplina degli
insegnamenti religiosi relativi alla Scuola Primaria, sono conformi al
diritto in quanto attuative del dettato della Disposizione Addizionale
II, della LOGSE (Ley Organica de Ordenación General del Sistema
Educativo, 3 ottobre 1990). Tale disposizione, non esaurisce la
applicazione specifica del diritto costituzionale dei genitori a che i
pubblici poteri garantiscano la formazione religiosa e morale dei
figli conformemente alle loro convinzioni (art. 27, comma 3 Cost.); la
tutela di questo diritto, infatti, si realizza indirettamente
attraverso la garanzia di altri diritti costituzionali, ed ha inoltre
espressa menzione nella Legge Organica 3 luglio 1985, nº 8 (art. 18,
comma 1). Le norme del Real Decreto 1006/1991 che rinviano al disposto
degli Accordi con le confessioni religiose per la disciplina degli
insegnamenti religiosi relativi alla Scuola Primaria, oltre ad
osservare il mandato costituzionale di cooperazione con le Chiese
(art. 16, comma 3 Cost.), non violano la riserva di Legge Organica
relativa allíattuazione dei diritti fondamentali in quanto
applicative del dettato della Disposizione Addizionale II, della LOGSE
(Ley Organica de Ordenación General del Sistema Educativo, 3 ottobre
1990). Tale disposizione è legittima posto che la Costituzione
ammette che i Trattati possano avere ad oggetto i diritti e i doveri
fondamentali, quando vi sia líautorizzazione delle Corti Generali,
come nel caso degli Accordi con la Santa Sede e con le altre
religioni; un Accordo o Trattato non è imposizione di uno Stato
Straniero, ma esercizio della sovranità nazionale.

Sentenza 10 marzo 1994

Le norme del Reale Decreto n. 1700/1991 sono illegittime laddove,
nell’attuazione del principio secondo cui l’insegnamento della
religione cattolica deve essere obbligatoriamente organizzato nelle
scuole superiori pur rimanendo facoltativo per gli studenti, lascino
indefinito il contenuto delle materie alternative. Invero, la mancata
individuazione degli insegnamenti opzionali viola il principio
costituzionale del diritto alla certezza giuridica, nella concreta
accezione di certezza della norma, al fine di una scelta cosciente dei
destinatari del servizio; viola altresì l’Accordo tra lo Stato
Spagnolo e la Santa Sede del 1979 nonché la Disposizione Addizionale
Seconda della Legge Organica n. 1/1990, che istituisce l’obbligo per
gli istituti di istruzione secondaria (BUP) di includere nei programmi
di studio l’insegnamento della religione cattolica “in condizioni
equiparabili alle altre discipline fondamentali”. Per quest’ultimo
motivo, qualora le materie alternative si risolvano in un
approfondimento delle materie comuni, costituirebbero un vantaggio
educativo, oltre ad incidere indirettamente sulla valutazione di esse,
per quegli studenti che le abbiano scelte preferendole
all’insegnamento della religione cattolica, con violazione del
principio costituzionale di uguaglianza.

Convenzione 04 giugno 1958, n.C111

Convenzione sulla discriminazione in materia di impego e nelle professioni, 4 giugno 1958. (Entrata in vigore il 15 giugno 1960) La Conferenza generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, Convocata a Ginevra dal Consiglio di amministrazione dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, ed ivi riunitasi il 4 giugno 1958, nella sua quarantaduesima sessione, Avendo deciso di adottare diverse proposte […]

Sentenza 28 ottobre 1996, n.166

L’art. 16.1 della Costituzione spagnola, nel garantire la libertà
ideologica, religiosa e di culto senza alcuna limitazione tranne
quella necessaria per il mantenimento dell’ordine pubblico e
nell’impegnare i poteri pubblici a tener conto delle credenze
religiose della società spagnola, non comporta la imposizione agli
operatori sanitari della Sicurezza Sociale di astenersi
dall’utilizzare trasfusioni di sangue nel corso delle operazioni
chirurgiche ritenute necessarie dalla lex artis della professione
medica. E’legittimo pertanto, non ricorrendo nel caso né un errore
diagnostico né un rifiuto ingiustificato di assistenza, ma solo un
rifiuto di intervento chirurgico secondo le modalità pretese dal
paziente, ispirate non a criteri tecnici ma ai precetti della sua
credenza religiosa, negare la sussistenza dei presupposti richiesti
per il conseguimento del rimborso delle spese mediche sostenute dal
paziente medesimo presso una clinica privata.
Il principio di eguaglianza e di non discriminazione di cui all’art.
14 della Costituzione spagnola riconosce solo il diritto a non subire
discriminazioni e non il presunto diritto di imporre o esigere
differenze di trattamento e quindi la pretesa, in ragione delle
proprie credenze religiose, di una modifica del tipo di cure mediche
ordinariamente previste mediante l’imposizione ai sanitari di un
vincolo nell’attuazione delle loro tecniche operatorie.

Sentenza 16 novembre 1993, n.340/1993

1. Este Tribunal sólo puede decidir respondiendo a las razones
por   las que los órganos judiciales vienen a dudar, en un caso
concreto, de la   conformidad con la Constitución de una norma con
rango de Ley (STC 126/1987) [F.J. 4].
2. No toda desigualdad de trato legislativo en la regulación de una
materia   entraña una vulneración del derecho fundamental a la
igualdad ante la Ley   del art. 14 C.E., sino únicamente aquellas
que introduzcan una diferencia de trato entre situaciones que puedan
considerarse sustancialmente iguales y   sin que posean una
justificación objetiva y razonable. Por lo que dicho   precepto
constitucional, en cuanto límite al propio legislador, veda la  
utilización de elementos de diferenciación que quepa calificar
de   arbitrarios o carentes de una justificación objetiva y
razonable. A lo que   cabe agregar que también es necesario, para
que la diferencia de trato sea   constitucionalmente lícita, que
las consecuencias jurídicas que se deriven   de tal diferenciación
sean proporcionadas a la finalidad perseguida por el   legislador,
de suerte que se eviten resultados excesivamente gravosos o  
desmedidos. Exigiendo el principio de igualdad, por tanto, no sólo
«que la   diferencia de trato resulte objetivamente justificada,
sino también que   supere un juicio de proporcionalidad en sede
constitucional sobre la   relación existente entre la medida
adoptada, el resultado producido y la  finalidad pretendida por el
legislador» (STC 110/1993) [F.J. 4].
3. Al determinar que “ninguna confesión tendrá carácter estatal”,
cabe   estimar que el constituyente ha querido expresar, además,
que las   confesiones religiosas en ningún caso pueden trascender
los fines que les   son propios y ser equiparadas al Estado,
ocupando una igual posición   jurídica; pues como se ha dicho en
la STC 24/1982, el art. 16.3 C.E. «veda   cualquier tipo de
confusión entre funciones religiosas y funciones   estatales». Lo
que es especialmente relevante en relación con el art. 76.1  
L.A.U. dado que este precepto ha llevado a cabo precisamente una  
equiparación de la posición jurídica de la Iglesia con el Estado y
los otros entes de Derecho público en materia de arrendamientos
urbanos [F.J. 4].
4. La noción de «intereses generales» que incorpora el art. 103.1
C.E., que   también figura en otros preceptos constitucionales
limitativos de derechos   (así, en los arts. 33.3 y 128.1 y 2 C.E.)
constituye una habilitación  general para la intervención de las
distintas Administración públicas en   defensa de dichos
intereses, incluso cuando estos inciden sobre intereses  
particulares. De donde se sigue que la ley puede establecer la
legitimidad   de una actuación de las Administraciones públicas
distinta de la prevista en el régimen general de una materia
«exceptio salus publicae causa» siempre   que la misma sea
necesaria para servir los intereses generales [F.J. 5].
5. Es indudable que en el presente caso la contienda procesal ante el
Juez   civil ha de girar, exclusivamente, sobre el cumplimiento o
incumplimiento de los requisitos y trámites que la Ley de
Arrendamientos Urbanos establece en el art. 76. 1, «in fine», el
carácter jurídico público legalmente atribuido a la corporación
arrendadora y la existencia de la declaración ministerial de
necesidad de la ocupación (art. 76.2) y también, según
la doctrina mayoritaria, sobre los concernientes al orden de
selección de las viviendas y locales de negocios (arts. 64 y 72) y
a la obligación del arrendador de ocupar los desalojados dentro de
un determinado plazo (arts. 68.1 y 75.1) así como de no arrendarlos
o ceder su goce o uso a un tercero hasta transcurrido cierto tiempo
(arts. 68 y 75.2). Por consiguiente, pudiendo debatirse todas estas
cuestiones en el proceso, cuyo objeto y las   pretensiones que en
él cabe deducir se encuentran así legalmente   delimitadas,
únicamente respecto de estas cuestiones -y no de la excluida   «ex
lege» de la eventual controversia de las partes- se ha de predicar
la   exigencia constitucional derivada del art. 24.2 C.E. Por lo que
no cabe   estimar, en definitiva, el desequilibrio procesal
contrario al principio de   «igualdad de armas» que los órganos
judiciales promovientes de las   cuestiones y el Ministerio Fiscal
imputan al precepto aquí examinado en   relación con el mencionado
art. 24.2 C.E. [F.J. 5].
  La norma, contenuta nella Legge sugli Affitti Urbani, che dispone
la equiparazione della Chiesa cattolica agli enti di diritto pubblico
al fine di agevolare la rescissione del contratto di locazione, è
illegittima per contrasto con il principio costituzionale di
aconfessionalità dello Stato (art. 16, co. 3, CE). Invero,
l’enunciato per cui “nessuna confessione avrà carattere di
religione di stato”, impedisce che le confessioni religiose possano
trascendere i fini che sono loro propri ed essere equiparate allo
Stato o agli enti pubblici, non rilevando a tal fine il dovere
costituzionale di cooperazione del potere pubblico con la Chiesa
Cattolica e con le altre confessioni religiose.

Sentenza 08 novembre 1993, n.328

Según declaramos en nuestra STC 265/1988, el Auto que reconoce 
eficacia civil a una decisión pontificia sobre matrimonio rato y no
consumado, a pesar de haberse formulado una oposición razonada que
excluye toda imputación de conveniencia u oportunismo, «quedando a
salvo el derecho   de las partes para formular su pretensión en el
procedimiento correspondiente», determina una situación de
indefensión constitucionalmente relevante, puesto que, por un lado,
reenvía al interesado a un procedimiento que está previsto en la
ley sólo para el caso de que el Auto sea denegatorio (con
oposición o sin ella) o se acuerde el archivo o sobreseimiento
del expediente, y, por otro, impone al opositor el seguimiento de un
nuevo proceso para remediar en su caso una violación de un derecho
fundamental ocurrido en procedimiento distinto y agotado [F.J. 2].
Il provvedimento giudiziario che riconosce efficacia civile alla
dispensa ecclesiastica di matrimonio rato e non consumato, emesso
malgrado fosse stata proposta opposizione nel procedimento di
omologazione, e pertanto in contrasto con le disposizioni di
derivazione concordataria (L. n. 30/1981, attuativa dell’art. VI. 2
dell’Accordo 3 gennaio 1979 tra lo Stato Spagnolo e la Santa Sede),
viola il diritto fondamentale alla effettiva tutela giudiziale (art.
24 CE).

Sentenza 26 giugno 1997

Alla luce delle tradizioni e delle pratiche legali della nazione
americana l’asserito “diritto” all’assistenza al suicidio non è una
libertà fondamentale protetta dal Due Process Clause anche se si
tratta di malati terminali adulti capaci di intendere e di volere.
Tale preteso “diritto” non è equiparabile al rifiuto degli interventi
curativi necessari a mantenere in vita un malato. In quest’ultimo caso
è dato riscontrare un diritto costituzionalmente protetto, che non si
fonda su di un astratto ed indefinito concetto di autonomia personale
ma sulla storia e le tradizioni legali della nazione secondo cui ogni
trattamento medico imposto è una violazione della libertà personale.
La circostanza che i diritti e le libertà tutelati dal Due Process
Clause trovino il loro fondamento nell’autonomia personale, non
comporta che tutte le singole rilevanti, intime e personali decisioni
siano costituzionalmente protette. Il divieto penale di assistenza al
suicidio è razionalmente giustificato, da un punto di vista
costituzionale, per la ricorrenza di legittimi interessi generali e
quindi non può essere considerato in contrasto con la clausola del
Due Process contenuta nel quattordicesimo emendamento.

Sentenza 25 giugno 1997

Un programma federale di interventi a sostegno dell’istruzione di
allievi portatori di handicap con l’impiego di personale docente
specializzato, può essere esteso a favore degli utenti di una scuola
confessionale, senza che ciò comporti la violazione
dell’Establishment Clause; infatti detto intervento è giustificato
sulla base di un criterio neutrale e secolare che non favorisce o
discrimina la religione ed è aperto a beneficiari credenti o non
credenti su di una base di eguaglianza.