Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 gennaio 2017, n.1952

La condotta di vilipendio certamente si connota entro i confini
segnati dallo stesso significato etimologico della parola ('tenere
a vile', ossia additare al pubblico disprezzo o dileggio, ovvero
svilire), per cui è ben vero che il vilipendio alla religione
non deve mai essere confuso con la discussione, scientifica o meno,
sui temi religiosi, né con la critica, o con l'espressione
di dissenso dai valori religiosi per l'adesione ad ideologie atee
o di altra natura, ovvero con la confutazione, anche con toni accesi,
dei dogmi della fede. Nel caso di specie, dunque, commette il reato di
cui all'art. 403 c.p. colui che predispone un cartellone
raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall'immagine del
Pontefice Benedetto XVI. ed, in primo piano, un bersaglio da colpire
con delle freccette.

Sentenza 13 ottobre 2015, n.41044

L'art. 403 cod. pen. sanziona chiunque offenda una confessione
religiosa mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del
culto. Al riguardo, la Corte costituzionale ha affermato
come «il vilipendio di una religione, tanto più se
posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o
di un ministro del culto rispettivo, …, legittimamente può
limitare l'ambito di operatività dell'art. 21: sempre
che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta
entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso
significato etimologico della parola (che vuoi dire “tenere a
vile” e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per
altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale
accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più
ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia
religiosa, con specifico riferimento alla quale non a caso l'art.
19 anticipa, in termini quanto mai espliciti, il più generale
principio dell'art. 21» (sentenza n. 188 del 1975). Sono
pertanto vilipendio, e dunque esclusi dalla garanzia dell'art. 21,
la contumelia, lo scherno, l'offesa fine a se stessa che
costituiscono oltraggio ai valori etici di cui si sostanza ed alimenta
il fenomeno religioso. (Nel caso di specie, la Corte adita ha pertanto
rigettato il ricorso, ritenendo violato il limite dovuto al rispetto
della devozione altrui, ingiustamente messo a repentaglio da una
manifestazione che, lungi dall'essere meramente critica di costumi
sessuali non consentiti a ministri di culto, è apparsa
costituire appunto una mera contumelia, scherno ed offesa fine a se
stessa).

Regio decreto 30 giugno 1889, n.6133

Codice penale Zanardelli approvato con Regio Decreto 30 giugno 1889 n. 6133 (pubblicato in Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, Stamperia Reale, Roma, 1889 n. 6133). Entrato in vigore il 1 gennaio 1890. Abrogato con Regio Decreto 1930 n. 1398 (pubblicato in G.U. 26 ottobre 1930 n. 251), con effetto dal […]

Sentenza 28 gennaio 1963

L’offesa generica rivolta a tutti coloro che professano un culto
ammesso dallo Stato non integra il reato di vilipendio del culto né
quello di diffamazione delle persone che lo professano (nella specie,
gli ebrei era stati qualificati deicidi, incapaci a giudicare e
carenti di moralità qualsiasi).

Ordinanza 03 ottobre 1980

Per la punibilità del delitto di vilipendio della religione dello
Stato considerata quale entità astratta ed indipendentemente dallo
sue manifestazioni esteriori è necessario che l’agente sia
consapevole della idoneità della sua condotta e si proponga proprio
il raggiungimento di siffatto scopo. (Nel caso di specie, il Pretore
ha peraltro assolto gli imputati in quanto non ha ritenuto sussistenti
nella fattispecie gli elementi psicologici indispensabili per ritenere
commesso il reato previsto e punito dall’art. 402 del codice penale,
e cioè sia il dolo generico, inteso come volontà libera e cosciente
nonché intenzione di commettere il fatto e sia il dolo specifico,
inteso come fine di vilipendere espressamente il patrimonio dogmatico
della religione cattolica).

Ordinanza 06 novembre 1996

Il fatto di aver bestemmiato in pubblico contro la Madonna non è più
previsto dalla legge come reato dopo la modificazione dell’art. 724
I comma cp. da parte della Corte costituzionale con la sentenza n. 440
del 1995, perciò l’imputato deve essere assolto con la formula
secondo la quale “il fatto non è previsto dalla legge come reato”
non potendo tale offesa rientrare nel reato di turpiloquio (art. 726
c.p.) in quanto il disvalore penale di siffatta condotta rientra
esclusivamente nell’ambito del modificato art. 724 c.p.

Legge 24 febbraio 2006, n.85

LEGGE 24 febbraio 2006, n. 85: “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” (testo in vigore del 28 marzo 2006). (da “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana” n. 60 del 13 marzo 2006) La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. […]

Codice penale 16 giugno 1879

Code Pénal, 16 Juin 1879. (omissis) Livre II. Titre II. – Chapitre II. – Des délits relatifs au libre exercice des cultes Art. 142. Toute personne qui, par des violences ou des menaces, aura contraint ou empêché une ou plusieurs personnes d’exercer un culte, d’assister à l’exercice de ce culte, de célébrer certaines fêtes religieuses, […]

Disegno di legge 25 gennaio 2006, n.3538

Senato. Disegno di legge n. 3538: “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” approvato in via definitiva il 25 gennaio 2006. Articolo 1. 1. L’articolo 241 del codice penale è sostituito dal seguente: “Articolo 241 – (Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato). – Salvo che il fatto costituisca più grave […]

Ordinanza 18 novembre 2005, n.41571

Seppure non sia dubitabile che la esposizione del crocefisso nell’aula
di udienza sia una situazione astrattamente sussumibile nelle
fattispecie processuali di cui all’art. 45 c.p.p., è altrettanto
indubitale che la esposizione del crocefisso esula dalla fattispecie
processuale de qua perché difetta dell’imprescindibile carattere
locale. Proprio in conformità alla natura intrinseca dell’istituto
processuale di cui trattasi, che si risolve nel trasferimento del
giudizio ad altro ufficio territoriale, la norma dell’art. 45 è
chiarissima nell’indicare come presupposto necessario il carattere
locale, cioè localmente circoscritto, della situazione idonea a
turbare l’imparzialità e serenità del giudizio. Ne consegue che non
può invocarsi l’istituto della rimessione del processo per
scongiurare un pericolo di parzialità del giudice o di turbamento del
giudizio, quando la situazione che asseritamente genera quel pericolo
ha dimensione nazionale. E’ evidente, infatti, che in tal caso anche
la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare
quella stessa situazione che si assume pregiudizievole per la
imparzialità e serenità del giudizio stesso.