Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 06 luglio 2015, n.13883

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della
nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso,
le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come
comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione
del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano
sostanzialmente dall'ipotesi d'invalidità contemplata
dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il
riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo
in principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In
particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo
del difetto di tutela dell'affidamento della controparte,
poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale
dell'incapacità naturale dà rilievo alla buona o
malafede dell'altra parte, tale aspetto è ignorato nella
disciplina dell'incapacità naturale, quale causa
d'invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente
l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio
psichico.

Sentenza 02 agosto 2007, n.16999

La declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale
ecclesiastico, che ha pronunciato la nullità del matrimonio
concordatario, per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi,
di uno dei bona matrimonii, cioè la divergenza unilaterale fra
volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata
manifestata all’altro coniuge, ovvero che questi l’abbia in concreto
conosciuta, oppure che non l’abbia potuta conoscere a cagione della
propria negligenza, atteso che, ove quella nullità venga fondata su
una simulazione unilaterale non conosciuta, nè conoscibile, la
delibazione della relativa pronuncia trova ostacolo nella contrarietà
con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va compreso
l’essenziale principio della tutela della buona fede e
dell’affidamento incolpevole (Cass. 2 dicembre 1993 n. 11951; Cass.
14.3.1996, n. 2138; Cass. 28.1.2005, n. 1822). (Nel caso di specie, la
Corte d’appello nell’affermare che la sentenza di primo grado del
giudice ecclesiastico non aveva riportato circostanze che
consentissero di ritenere che la riserva mentale fosse stata portata a
conoscenza della sposa o che questa potesse, con l’ordinaria
diligenza, esserne informata, trascurava altresì le dichiarazioni dei
testi al riguardo, riportate dalla sentenza ecclesiastica).