Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 07 febbraio 2007, n.5012

E’ punibile penalmente la condotta di colui che abbia posto in essere
una situazione apparente, contraria a quella reale, consistente in
realtà nel gestire una setta religiosa, priva di qualsiasi
legittimazione ecclesiastica ufficiale, con modalità idonee a trarre
in errore le vittime sulla reale natura dell’associazione (nel caso di
specie, il ricorrente non perseguiva, nella gestione della comunità,
alcuna finalità di natura spirituale o caritatevole, ma interessi di
carattere patrimoniale facendo propri i vantaggi conseguibili dalle
vittime indotte, con insistenti pressioni, a prestazioni di servizi e
di opere, all’interno e all’esterno della sede della comunità, senza
essere retribuite ovvero a compiere atti di disposizione patrimoniale
in suo favore senza il corrispettivo del prezzo).

Sentenza 08 maggio 2007, n.17441

Nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento. Ciò premesso, va
rilevato che nessun vizio è riscontrabile nella parte della sentenza
che è pervenuta all’accertamento degli elementi del reato di truffa,
attraverso la considerazione delle varie prove acquisite e la corretta
indicazione del significato dimostrativo loro attribuito, ricostruendo
i singoli episodi con propri argomenti e specifiche ricostruzioni
anche laddove, evocando il giudizio del primo giudice, ha fatto
altrettanto proprie le conclusioni da questi raggiunte, in tal modo
dimostrando di avere ritenuto rispondenti alle risultanze processuali,
convincenti ed esatti gli argomenti giustificativi sviluppati nella
prima sentenza, nonché di avere tenuto presenti le doglianze degli
appellanti e di averle ritenute prive di fondamento (nel caso di
specie, l’intervento chirurgico di circoncisione maschile, posto in
essere in assenza di reali esigenze terapeutiche ed a carico del
servizio sanitario nazionale, veniva reputato integrare gli estremi
del reato di truffa ai danni di ente pubblico, posto che la
circoncisione rituale non costituisce una prestazione sanitaria
riconosciuta come rimborsabile).

Sentenza 09 novembre 2005, n.40799

Nel reato di truffa l’induzione in errore mediante raggiro si ha non
solo quando l’agente pone in essere l’attività fraudolenta
originariamente, ma anche quando concorre con il suo comportamento
menzognero a confermare nel soggetto passivo l’errore da questi
autonomamente ingenerato, ponendosi tale successivo comportamento in
rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto
profitto. Questa fattispecie si configura, pertanto, nell’ipotesi di
sette aduse a carpire la credulità di molti, sollecitandone offerte
economiche di notevole consistenza e procurandosi così ingenti
profitti, e non può essere ravvisata nell’ipotesi di esercizio di
pratiche religiose, le quali oltre a difettare dell’elemento
costituito dagli artifici e raggiri, non implicano inoltre l’ingiusto
profitto.

Sentenza 26 settembre 2003, n.539

L’intervento chirurgico di circoncisione maschile integra gli estremi
del reato di truffa ai danni di Ente Pubblico, laddove – in assenza di
reali esigenze terapeutiche – venga eseguito unicamente per motivi
religiosi. Nulla impedisce, infatti, a chi lo ritenga necessario o
opportuno di sottoporsi a circoncisione o ad altra pratica rituale,
che non comporti menomazioni permanenti del proprio corpo. Tuttavia,
non è lecito l’utilizzo di artifici e raggiri per porre a carico
della collettività, in assenza di necessità di cura, i costi di una
operazione a valenza privata, posto che la circoncisione rituale non
costituisce una prestazione sanitaria riconosciuta come rimborsabile.
Tali condotte configurano, pertanto, il reato di cui all’art. 640,
comma 2 c.p., senza che possa essere attribuito alla motivazioni
religiose, alla base di dette azioni, il valore di condizione per
l’esercizio di un diritto, scriminante come tale sul piano penale.