Decreto 13 luglio 2006
Dottrina e giurisprudenza tradizionalmente distinguono i requisiti per
la valida costituzione del vincolo matrimoniale dai requisiti
indispensabili per la sua stessa esistenza; questi ultimi vengono
pacificamente individuati: nella diversità di sesso, nel consenso
delle parti e nella celebrazione. Tali requisiti, infatti, sono
direttamente ricavabili dall’art. 107 c.c., che configura il
matrimonio come un negozio giuridico bilaterale tra due persone di
sesso diverso, le quali dichiarano, in un determinato contesto
formale, di volersi prendere rispettivamente in “marito” ed in
“moglie”. La medesima distinzione di sesso tra i coniugi si rinviene,
inoltre, in numerosissime altre disposizioni (108, 143, 143-bis,
143-ter, 156-bis etc.) e precipuamente in quelle che disciplinano il
concreto atteggiarsi dei diritti e doveri dei coniugi tra loro e verso
i figli, nonché nello stesso ordinamento sullo stato civile, che
prevede – all’art. 64, lett. e) – che l’atto di matrimonio debba
specificamente indicare «la dichiarazione degli sposi di volersi
prendere rispettivamente in marito e in moglie». Deve pertanto
concludersi che il matrimonio contratto all’estero tra persone dello
stesso sesso, mancando di uno dei requisiti essenziali per la sua
configurabilità come matrimonio nell’ordinamento interno, non possa
essere trascritto nei registri dello stato civile dello Stato
italiano.