Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 15 gennaio 2013

Non tutti gli atti ispirati dal credo religioso sono da considerarsi
una manifestazione della libertà religiosa tutelata
dall'art. 9 della CEDU: per godere della protezione di tale
articolo, deve trattarsi di atti "strettamente connessi alla
religione". La libertà di manifestare il credo, tuttavia,
non è limitata agli atti di culto, ma si estende anche ad altri
comportamenti e pratiche. Per quanto riguarda la tutela della
libertà religiosa nel luogo di lavoro, la giurisprudenza della
Corte europea ha spesso affermato che, qualora vi siano delle
restrizioni alla messa in atto di particolari pratiche connesse alla
religione, la libertà dei lavoratori non sarebbe violata nel
caso in cui possano dimettersi e cambiare lavoro. Tuttavia, in primo
luogo questo criterio non è sempre applicabile e deve tener
conto della tipologia delle restrizioni previste; in secondo luogo,
data l'importanza della libertà religiosa per le
società democratiche, occorre valutare se la possibilità
del lavoratore di cambiare impiego sia accettabile, considerato il
contesto e la proporzionalità delle restrizioni poste a tale
libertà.
Per quanto riguarda il divieto di
discriminazione (art. 14, da analizzare congiuntamente all'art. 9
CEDU), la Corte ricorda che risultano vietati sia trattamenti diversi
di situazioni analoghe, sia trattamenti uguali di situazioni
differenti, a meno che non si tratti del perseguimento di un obiettivo
legittimo e ragionevole, nel rispetto del principio di
proporzionalità.
La proporzionalità (relativa sia
ai limiti alla libertà religiosa, sia alla valutazione della
discriminatorietà di un trattamento) deve essere valutata nel
rispetto del "margine di apprezzamento", ovvero una certa
discrezionalità riconosciuta agli Stati nell'applicazione
dei diritti fondamentali. Nei quattro casi riuniti ed esaminati dalla
sentenza – tutti relativi a controversie avvenute nel Regno Unito a
proposito di pratiche religiose sul luogo di lavoro – la Corte di
Strasburgo ha affermato che:

  • nel caso della prima ricorrente
    (Ms. Eweida), la decisione di British Airways di licenziare una
    hostess che aveva indossato un crocifisso visibile sulla sua divisa
    era da ritenersi non proporzionale e, di conseguenza, i giudici
    nazionali hanno violato il diritto di libertà religiosa nel
    convalidare il licenziamento;
  • nel caso della seconda
    ricorrente (Ms. Chaplin), il divieto di indossare una catenina con la
    croce era invece da considerare proporzionato, perché
    finalizzato alla tutela della salute e sicurezza dei pazienti e dei
    lavoratori di un ospedale pubblico;
  • nel caso della terza
    ricorrente (Ms. Ladele), il rifiuto di registrare le unioni
    omosessuali nel registro dello stato civile era sì un atto
    intimamente connesso al credo cristiano; tuttavia l'intervento
    dello Stato, che ha riconosciuto i medesimi diritti alle coppie
    eterosessuali ed omosessuali, è da ritenersi legittimo e la
    limitazione alla manifestazione del credo è stata
    proporzionale, rientrando nel margine di apprezzamento nazionale la
    valutazione e il bilanciamento dei diritti di non discriminazione
    religiosa e di parità in base all'orientamento
    sessuale;
  • nel caso del quarto ricorrente (Mr. McFarlane),
    analogamente a quello della sig.ra Ladele, le autorità statali
    hanno operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco,
    nell'ambito del loro margine d'apprezzamento, anche tenuto
    conto che il ricorrente aveva volontariamente accettato di svolgere
    attività di consulenza in una società privata, sapendo
    di venire a contatto anche con coppie dello stesso sesso.

(Stella Coglievina)


Le sentenze dei tribunali inglesi:

Eweida
v. British Airways
(Court of Appeal, 12 febbraio 2010)

Eweida v.
British Airways
(Employment Appeal Tribunal, 20 novembre 2008)

Chaplin
v. Royal Devon and Exeter NHS Foundation Trust
(Employment
Tribunal, 21 ottobre 2010)

Ladele v.
London Borough of Islington
(sentenza 15 dicembre 2009)

Caso
McFarlane: Contrasto tra convinzioni religiose e prestazioni
lavorative
(sentenza 29 ottobre 2010)

McFarlane vs.
Relate Avon LTD
(Employment Appeal Tribunal 30 novembre 2009)

Sentenza 12 marzo 2012, n.1366

I contrassegni, per essere ricusati, debbono possedere un significato
religioso univoco e costituire un richiamo immeditato e diretto per la
popolazione che abbia a riferimento quel credo religioso. La natura
inequivocabilmente religiosa del simbolo va apprezzata avendo riguardo
alla simbologia, agli strumenti di comunicazione (verbale e non
verbale), alle tematiche aventi carattere religioso che l’immagine
è capace di manifestare in relazione al momento attuale ovvero nella
contemporaneità. La natura religiosa di una “rappresentazione”
(cioè della “riproduzione” semiologica) va quindi necessariamente
definita in base alla sua evoluzione storico-sociale, e non già in
base all’intera possibile espansione della “sfera
culturale-religiosa” accumulata nella storia (Nel caso di specie, il
giudice adito ha ritenuto che la riproduzione della figura di San
Giorgio, presa isolatamente e senza alcuna indicazione, acquisti il
valore anonimo del cavaliere medievale, risultando cioè un richiamo
ad un contenuto ideale, che ha oggettivamente perduto, nel contesto
storico-culturale contemporaneo, una diretta e immediata connotazione
religiosa).

Delibera 22 febbraio 2012

Consiglio Superiore della Magistratura. Delibera 22 febbraio 2012: "Obbligo di assistere all'udienza a capo scoperto e rispetto di credenze religiose che implicano un diverso comportamento". Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 22 febbraio 2012, ha adottato la seguente delibera: «Con nota dell’8 novembre 2011, il Presidente del Tribunale di … – dott. …- […]

Sentenza 24 novembre 2011, n.43646

L’avere sottoposto il proprio figlio ad intervento di circoncisione
ad opera di soggetto non abilitato all’esercizio della professione
medica, con conseguenze dannose per la salute dello stesso, integra in
astratto il concorso nel reato di cui all’art. 348 c.p. (esercizio
abusivo della professione medica). In particolare, sotto il profilo
della materialità, si è di fronte ad un reato c.d. “culturalmente
orientato”, nel quale viene in rilevo un conflitto, per così dire,
“esterno” dell’agente, che si realizza cioè quando
quest’ultimo – avendo recepito le norme della cultura e della
tradizione di un determinato gruppo etnico nella sua formazione –
migra in un’altra realtà territoriale dove quelle norme non sono
presenti. Ciò premesso, nel caso di specie, la Corte adita tuttavia
ha accolto il ricorso presentato dal genitore, ritenendo sussistenti
in concreto gli estremi dell’error iuris “scusabile”. La
valutazione dell’ignorantia legis c.d. inevitabile – e quindi
scusabile – implica, infatti, che il giudizio di rimproverabilità
del soggetto agente debba necessariamente estendersi alla valutazione
del processo formativo della sua volontà, per stabilire se – al
momento dell’azione posta in essere – si sia reso conto
dell’illiceità della sua condotta e del valore tutelato dalla norma
violata. Ciò non può che avvenire attraverso il raffronto tra dati
oggettivi, che possono avere determinato nell’agente l’ignorantia
legis circa l’illiceità del suo comportamento, e dati soggettivi
attinenti alle conoscenze e alle capacità dell’agente, che
avrebbero potuto consentire al medesimo di non incorrere dell’error
iuris. Nel caso di specie, si è ritenuto – quale dato oggettivo
incontestabile – il difettoso raccordo che si determina tra una
persona di etnia africana, migrata in Italia e ancora non integrata
nel relativo tessuto sociale, e l’ordinamento giuridico del nostro
Paese, di cui quest’ultima ha conseguentemente difficoltà nel
recepire, con immediatezza, valori e divieti. Quanto all’aspetto
soggettivo, sono stati valutati, da un lato, il basso grado di cultura
della madre e, dall’altro, il forte condizionamento derivatole dal
mancato avvertimento dell’esistenza di un conflitto “interno”
(vale a dire l’avvertito disvalore della sua azione rispetto alle
regole della sua formazione culturale). Circostanze queste ultime che
– secondo la Corte adita – attenuano il dovere di diligenza
finalizzato alla conoscenza degli ambiti di liceità consentiti nel
diverso contesto territoriale in cui il genitore venga a trovarsi.

Legge regionale 21 novembre 2011, n.18

Legge regionale 21 novembre 2011, n. 18: "Esposizione del crocifisso negli immobili regionali". (BUR Lombardia 25 novembre 2011, supplemento n. 47) Art. 1 (Principi e finalità) 1. La Regione, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, lettera f), dello Statuto d’autonomia riconosce i valori storico-culturali e sociali delle sue radici giudaico-cristiane. Art. 2 (Esposizione del crocifisso) 1. Per […]

Circolare 02 marzo 2011

Circulaire du 2 mars 2011 relative à la mise en œuvre de la loi n° 2010-1192 du 11 octobre 2010 interdisant la dissimulation du visage dans l'espace public. NOR: PRMC1106214C Le Premier ministre à Monsieur le ministre d'Etat, Mesdames et Messieurs les ministres, Mesdames et Messieurs les secrétaires d'Etat, Monsieur le préfet de police, Mesdames […]

Sentenza 18 marzo 2011, n.30814/06

La presenza di un simbolo religioso, quale il crocifisso, nelle
scuole pubbliche non viola il diritto dei genitori di educare ed
istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose e
filosofiche (art. 2, Protocollo addizionale n. 1 CEDU).
L’obbligo degli Stati contraenti di rispettare le convinzioni
religiose e filosofiche dei genitori non si limita al contenuto
dell’istruzione e alle modalità di erogarla. Quando la
regolamentazione dell’ambiente scolastico è riservata alla
competenza delle autorità pubbliche, ciò comporta l’assunzione di
una funzione da parte dello Stato nel campo dell’educazione e
dell’insegnamento che ricade nell’ambito di applicazione
dell’art. 2 del _Protocollo n. 1_. Sennonché gli Stati contraenti
godono di un margine di apprezzamento quando si tratti di conciliare
l’esercizio di tali funzioni con il diritto dei genitori di educare
ed istruire i propri figli in conformità alle proprie convinzioni.
Questo margine di apprezzamento è nel caso di specie particolarmente
ampio data l’inesistenza di un consenso europeo sulla questione
della presenza dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche.
Prescrivendo la presenza del crocifisso nelle aule di tali scuole si
attribuisce alla religione di maggioranza del paese una visibilità
preponderante nell’ambiente scolastico. Tuttavia, questo non è di
per sé sufficiente ad integrare un tentativo di indottrinamento da
parte dello Stato convenuto e a stabilire un inadempimento delle
prescrizioni di cui all’art. 2 del _Protocollo n. 1._
Il crocifisso appeso al muro è un simbolo essenzialmente passivo e
questo aspetto è particolarmente rilevante con riguardo
specificamente al principio di neutralità. Non ci sono del resto
elementi sufficienti per attestare l’eventuale condizionamento su
giovani persone le cui convinzioni non sono ancora definite. D’altra
parte, non si potrebbe attribuire a tale simbolo una influenza sugli
alunni comparabile a quella che può avere una lezione o la
partecipazione ad attività religiose.
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La sentenza 18 marzo 2011 accoglie il ricorso del governo italiano
contro la precedente sentenza della Seconda Sezione della Corte
europea dei diritti dell’Uomo, pronunciata il 3 novembre 2009
[https://www.olir.it/documenti/?documento=5146] (Affaire Lautsi c.
Italia, n. 30814/06)

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In OLIR.it la sentenza 18 marzo 2011 in inglese e francese:
Grand Chamber. Case of Lautsi and others v. Italy
[/areetematiche/documenti/documents/5601_lautsi_and_others_v__italy.pdf]
Grande Chambre. Affaire Lautsi et autres c. Italie
[/areetematiche/documenti/documents/affaire-lautsi-%20et-autres-%20c.-italie.pdf]

Sentenza 14 marzo 2011, n.5924

La laicità dello Stato rappresenta un interesse diffuso e come tale
adespota, perchè facente capo alla popolazione nel suo
complesso. Proprio per la suddetta natura degli interessi diffusi, la
tutela degli stessi è affidata agli enti esponenziali della
collettività nel suo complesso, salvo che la tutela non sia anche
rimessa ad associazioni o enti collettivi in specifiche ipotesi
previste dalla legge (L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 9, L. 8 luglio
1986, n. 349, art. 18). Tuttavia la condivisibile giurisprudenza di
questa Corte (Cass. S.U. n. 2207/1978; Cass. S.U. n. 1463/1979) ha
ritenuto configurabili accanto agli interessi cosiddetti diffusi, da
parte di collettività unitariamente considerate, anche la titolarità
di interessi individuali, da parte dei singoli coinvolti dal
procedimento stesso. In questi casi il titolare di ogni singolo
diritto soggettivo inviolabile leso ha azione per la sua tutela. Da
ciò consegue che, mentre la lesione di un proprio diritto soggettivo
inviolabile può essere fatta valere nell’ambito del rapporto di
impiego anche in via di autotutela, allorchè tale lesione del diritto
soggettivo è esclusa, non può invece essere fatta valere, come causa
giustificante, la lesione di un interesse diffuso.
Nel caso di specie, dunque, poichè la Sezione disciplinare ha
affermato la responsabilità del ricorrente solo in relazione ai
disservizi verificatisi per il rifiuto di tenere udienze in stanze o
aule prive del crocifisso, e quindi in situazioni che – secondo
l’accertamento fattuale della Sezione – non potevano comportare la
lesione del suo diritto di libertà religiosa, di coscienza o di
opinione, non può intentare causa giustificante di tale rifiuto la
pretesa tutela della laicità dello Stato o dei diritti di libertà
religiosa degli altri soggetti che si trovavano nelle altre aule di
giustizia della Nazione, in cui il crocefisso era esposto.
Infine, appare infondata anche la censura secondo cui il rifiuto del
ricorrente di tenere udienza poteva ritenersi giustificato dalla
mancata autorizzazione ad esporre nelle aule giudiziarie la menorah,
simbolo della religione ebraica. Per poter accogliere tale pretesa è
infatti necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo
stato non sussiste. E’ vero infatti che sul piano teorico il principio
di laicità è compatibile sia con un modello di equiparazione verso
l’alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di
vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria
religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso
(laicità per sottrazione). Tale scelta legislativa, però, presuppone
che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la
praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l’esercizio della
libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con
l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte
dell’ateo o del non credente, nonchè il bilanciamento tra garanzia
del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità
religiose tra loro incompatibili.

Sentenza 05 luglio 2010, n.4250

In sede di valutazione della idoneità per la nomina a magistrato di
Cassazione il giudizio del C.s.m. può e deve estendersi al vaglio di
ogni elemento utile a formulare la migliore valutazione complessiva
della professionalità dell’interessato. Del tutto correttamente, tra
gli aspetti meritevoli di rilievo, sono incluse anche le eventuali
condotte individuali che in precedenza siano state accertate ed
abbiano formato oggetto di un procedimento penale, disciplinare, o di
trasferimento per incompatibilità ambientale. L’arco della carriera
del magistrato interessato dalla valutazione è tutto quello
precedente, con il limite dei periodi esterni, a seconda dei casi,
all’ultimo settennio o triennio di scrutinio. I fatti già colpiti
da sanzione (nel caso di specie, tra gli altri, il rifiuto di tenere
udienze in aule di giustizia ove fosse presente il crocifisso non
accompagnato da simboli di altre religioni) ben possono rilevare
anche in un diverso contesto valutativo non configurando una
inammissibile duplicazione di sanzione in ragione della mancanza di
una prestabilita finalità punitiva, bensì costituendo un
accertamento inteso al ben diverso scopo di un completo apprezzamento
obiettivo della personalità professionale del magistrato, attraverso
la disamina di tutti gli elementi atti a ricostruirla.

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Per approfondire in OLIR.it:

* TAR Lazio. Sezione Prima. Sentenza 3 novembre 2008, n. 9540
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5530&prvw=1](I
grado)
* Consiglio Superiore della Magistratura. Ordinanza 23 novembre 2006
[https://www.olir.it/documenti/?documento=4012]