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I principi professati dal movimento Bhagwan Shree Rajneesh, seguaci di
Rajneesh Chandra Mohan meglio conosciuto con il nome di Osho, sono di
“sufficiente forza, serietà, coesione e importanza” per essere
considerati una credenza religiosa, dunque da tutelare ai sensi
dell’’art. 9 della CEDU. La campagna realizzata dal governo
tedesco contro le sette a partire dal 1979 ha “potuto avere
conseguenze negative” per i ricorrenti, interferendo con i diritti
garantiti da tale norma. Tuttavia tale interferenza risponde agli
scopi legittimi di proteggere la sicurezza pubblica, l’ordine
pubblico e la protezione dei diritti altrui, infatti, “il numero in
aumento di movimenti religiosi ed ideologici nuovi genera conflitto e
sottopone a tensione la società tedesca”. Secondo la Corte, la
campagna avviata contro le sette corrispondeva dall’esigenza del
Governo, di fornire informazioni in grado di contribuire al dibattito
tipico di una società democratica in materie di interesse pubblico e
di focalizzare l’attenzione sui pericoli derivanti dall’adesione a
gruppi religiosi comunemente definiti come “sette”.
L’interferenza dello Stato tedesco nei riguardi dei diritti della
confessione religiosa appellante è da considerarsi, perciò,
legittima in virtù di quanto stabilito dall’art. 9, comma 2, che
prevede la possibilità di limitazioni all’esercizio della libertà
religiosa, che siano motivate dall’esigenza di tutelare la
sicurezza, l’ordine pubblico e la protezione dei diritti e libertà
altrui. Nel caso di specie i ricorrenti contestavano l’illegittimità
di una campagna pubblicitaria attuata dal governo tedesco, avviata nel
1979 con lo scopo di mettere in guardia i cittadini dai pericoli di
adesione alle sette religiose, accusate di avere effetti distruttivi
sui propri adepti e di attuare su di essi tecniche di manipolazione. I
ricorrenti, seguaci di Osho, avevano instaurato nel 1984 un
procedimento giudiziario contro la campagna del governo, durata fino
al 2002 quando la Corte Costituzionale di Germania ha impedito nella
campagna governativa l’uso dei termini “distruttivo” e “manipolano i
loro membri”, ma ha anche stabilito che le autorità potessero
informare il pubblico con informazioni adeguate sui gruppi religiosi;
campagna circa la quale era già intervenuta la Helsinki Foundation
for Human Rights affermando che il termine “sette” usato dalle
autorità tedesche aveva una connotazione negativa ed era da ritenersi
diffamatorio. La Corte di Strasburgo ha, inoltre, considerato che il
periodo di 18 anni in cui si è svolto il procedimento sia stato
troppo lungo in violazione dell’ Articolo 6.1. della CEDU.