Sentenza 16 aprile 2009, n.115/41
Documento inserito su segnalazione del Dott. Francesco Nania – Studio
Nania, Via Alabardieri n. 1, 80121 Napoli
Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose
Documento inserito su segnalazione del Dott. Francesco Nania – Studio
Nania, Via Alabardieri n. 1, 80121 Napoli
Quando siano provati la fonte dell’obbligazione ed il fatto storico
dell’avvenuto adempimento e si controverta soltanto in ordine
all’esattezza di quest’ultimo, spetterà al debitore della
prestazione, quale che ne sia la posizione processuale, provare
l’esattezza dell’adempimento, al fine dell’accoglimento della propria
domanda o eccezione. Tali principi non possono ritenersi inapplicabili
in materia di appalto, le cui disposizioni speciali non derogano alla
regola generale, che governa l’adempimento del contratto con
prestazioni corrispettive, comportante che l’appaltatore che agisca in
giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di
provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e,
quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle
regole dell’arte (nel caso di specie, dunque, in cui la parte
attrice – una società incaricata di realizzare un impianto di
sonorizzazione di un santuario – ha agito per ottenere l’adempimento
dell’obbligazione di pagamento e quella convenuta appellante – ente
ecclesiastico – ha opposto la risoluzione del contratto per
inadempimento della sinallagmatica prestazione dovuta dalla
controparte, erroneamente i giudici di appello, in un contesto nel
quale erano incontroverse la sussistenza dell’obbligazione degli
appaltatori e la sola consegna dell’opera, ma controversa l’idoneità
di questa all’uso convenuto, hanno ritenuto la committente gravata
dall’onere di provare la sussistenza dei difetti della stessa, senza
tener conto che la committente aveva rifiutato di adempiere la propria
controprestazione, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 1667
u.c. c.c. a seguito dell’esito negativo del collaudo).
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, “il contributo
di costruzione non è dovuto: … c) per gli impianti, le
attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di
urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti
urbanistici”. La legge della Regione Calabria n. 21/1990 (recante
“Norme in materia di edilizia di culto e disciplina urbanistica dei
servizi religiosi”) prevede, inoltre, all’art. 4 che “ai sensi e per
gli effetti dell’art. 3, secondo comma, lettera B, del decreto del
Ministro dei Lavori Pubblici 2 aprile 1968 e ai fini dell’applicazione
della presente legge sono attrezzature di interesse comune per servizi
religiosi: … c) gli immobili adibiti, nell’esercizio del ministero
pastorale, ad attività educative, culturali, sociali, ricreative, di
accoglienza e di ristoro che non abbiano fini di lucro (comma 1). Lo
stesso articolo 4 della citata legge regionale specifica pure (comma
3) che “in relazione al disposto dell’art. 4 della legge 29 settembre
1964, n. 847 e successive modificazioni, le attrezzature di cui al
precedente primo comma costituiscono opere di urbanizzazione
secondaria”. Ciò posto, le casa religiosa di accoglienza –
strutturalmente destinata ad ospitare i pellegrini che si recano
all’annesso Santuario – è, dunque, riconducibile, anche avuto
riguardo alle sue caratteristiche in concreto, alla categoria degli
“immobili adibiti nell’esercizio del ministero pastorale, ad attività
educative, culturali, sociali, ricreative, di accoglienza e di ristoro
che non abbiano fini di lucro”, prevista dal sopra riportato art. 4
della legge regionale Calabria n. 21/1990, con conseguente esclusione
del versamento del contributo di costruzione.
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