Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 23 gennaio 2013, n.3339

Le “opere di carità” rappresentano un “servizio” tipico del
ministero cattolico – basti pensare alla destinazione delle elemosine
o delle somme espressamente destinate dagli oblanti ai poveri della
parrocchia – sicché modeste elargizioni a persone bisognose o
indigenti costituiscono, di fatto, una costante dell’attività dei
parroci. Nel caso di truffa ai danni di un parroco deve pertanto
ritenersi sussistente l’aggravante di cui all’art. 61, n. 10, c.p.
(avere commesso il fatto nei confronti in un ministro di culto
“nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni di
servizio”), consistendo la _ratio_ dell’aggravante in esame
nell’esigenza di garantire una tutela rafforzata a favore di alcuni
soggetti in ragione del peculiare ruolo svolto dagli stessi.

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La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
Settimio Carmignani Caridi, Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata”

Sentenza 20 settembre 2002, n.39727

La distruzione di un affresco appartenente ad una Parrocchia integra
il reato di cui all’art. 733 c.p., in base al quale il soggetto attivo
può essere soltanto il proprietario della cosa danneggiata o
distrutta. Tale reato risulta, quindi, confifurabile in capo al
parroco, rappresentante dell’ente, mentre non possono essere accettate
interpretazioni estensive o applicazioni analogiche della norma
suddetta, tali da ricomprendere tra i destinatari del precetto
soggetti privi della titolarità di diritti reali o di possesso sui
beni protetti.

Sentenza 26 marzo 2002, n.15178

Non è considerato necessario, per la sussistenza del reato di
ingiuria e diffamazione, il c.d. “animus iniuriandi vel diffamandi”,
essendo invece sufficiente, come notato dal ricorrente, il dolo
generico (che, è stato affermato, può assumere la forma anche del
dolo eventuale). È dunque bastevole che vengano usate consapevolmente
espressioni il cui valore, socialmente diffuso, sia obiettivamente
offensivo, espressioni, insomma, adoperate in base al significato che
esse vengono ad assumere presso la stragrande maggioranza dei
consociati. Va da sè che, quando si accusi taluno di comportamenti
penalmente sanzionati, la offesa è innegabile, in quanto il disvalore
della azione cui si riferisce l’espressione è, non solo socialmente
condiviso, ma giuridicamente stabilito. Nè la qualità o lo status
colui che adopera la espressione ingiuriosa può assumere rilievo
discriminante, a meno che tale potere “pedagogico” (che comunque deve
essere esercitato entro i limiti della continenza) gli sia
riconosciuto dal destinatario o dal l’ordinamento.

Delibera 06 settembre 1984, n.17

Conferenza Episcopale Italiana, Delibera n. 17 del 6 settembre 1984: “Nomine dei parroci” (1). (da “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” n. 8/1984) Le nomine dei parroci ad certum tempus hanno la durata di nove anni. (1) Cfr. anche Delibera n. 5 promulgata con Decreto del Presidente della C.E.I. del 23 dicembre 1983, n. 1035/83 in […]

Delibera 23 dicembre 1983, n.3

Conferenza Episcopale Italiana, Delibera n. 3 del 23 dicembre 1983: “Elenco dei sacerdoti aspiranti all’Episcopato”. (da “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” n. 7/1983) L’elenco dei sacerdoti diocesani e religiosi ritenuti degni di candidatura all’Episcopato, fermo restando il diritto di ogni singolo Vescovo, sia redatto e trasmesso alla Santa Sede dalle Conferenze Episcopali Regionali.

Ordinanza 29 ottobre 1997

Sono configurabili gli estremi del reato di favoreggiamento personale
aggravato nella condotta del sacerdote che celebri Messa nel
nascondiglio di un capo mafia latitante, in tal modo consentendo al
fuggiasco di soddisfare le proprie esigenze religiose e spirituali
senza recarsi in chiesa e quindi senza esporsi al rischio di essere
sorpreso dall’autorità di polizia che lo ricerca. Sono configurabili
gli estremi del reato di favoreggiamento personale aggravato nella
condotta del sacerdote che, presentandosi spontaneamente innanzi
all’autorità di polizia per rendere dichiarazioni in merito al suo
possibile coinvolgimento nella latitanza di un noto boss mafioso, si
astenga dal rivelare il nome — pur conoscendolo — di chi lo ha
condotto presso il rifugio del ricercato.