Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 giugno 2009, n.14906

La delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della
nullità del matrimonio concordatario per esclusione da parte di uno
soltanto dei coniugi di uno dei “bona matrimonii” può trovare
ostacolo nell’ordine pubblico nel caso in cui detta esclusione sia
rimasta, inespressa, nella sfera psichica del suo autore, senza
manifestarsi (né comunque essere conosciuta o conoscibile) all’altro
coniuge, alla stregua dell’inderogabile principio della tutela della
buona fede e dell’affidamento incolpevole. Ne consegue che la
delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità
del matrimonio concordatario non può trovare ostacolo nell’ordine
pubblico ove detta esclusione sia rimasta, inespressa, nella sfera
psichica del suo autore, senza essere conosciuta o conoscibile
dall’altro coniuge, quando sia il coniuge che ignorava, o non poteva
conoscere, il vizio del consenso dell’altro coniuge a chiedere la
declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte
della Corte d’Appello (nel caso di specie, la Suprema Corte ha
rinviato nuovamente il giudizio dinnanzi alla Corte di appello, ai
fini della applicazione del sopra enunciato principio e per
l’accertamento della sussistenza anche delle altre condizioni previste
dall’art. 797 c.p.c. vigente all’epoca dell’entrata in vigore della
legge n. 121 del 1985, non abrogato – secondo la Suprema Corte – dalla
legge 31 maggio 1995, n. 218, art. 73, di riforma del sistema italiano
di diritto internazionale privato, in quanto non idonea, in forza del
principio concordatario accolto dall’art. 7 Cost. a spiegare efficacia
sulle disposizioni dell’Accordo con protocollo addizionale del 1984,
le cui disposizioni – con riferimento alla dichiarazione di efficacia,
nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità di matrimonio
pronunciate dai tribunali ecclesiastici – contengono un espresso
riferimento all’applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c.)

Sentenza 14 febbraio 2008, n.3709

La prova della riserva mentale riguarda uno stato psicologico che
rimane confinato all’interno della personalità del soggetto agente.
Le dichiarazioni dello stesso sono, dunque, il mezzo con cui tale
stato soggettivo, non altrimenti conoscibile, viene esternato e può
essere conosciuto dai terzi. Sotto questo profilo, pertanto, le
dichiarazioni “de relato ex parte actoris” possono costituire elemento
di prova, quando siano idonee a chiarire quale fosse, al momento in
cui sono state rese, l’atteggiamento psicologico del dichiarante. Per
queste ragioni tali testimonianze possono concorrere a determinare il
convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze
obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne
suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a
comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di
percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica.

Sentenza 11 novembre 2005, n.21865

La presunta lesione del diritto di difesa nelle procedure
ecclesiastiche non è rilevabile d’ufficio dalla Corte d’Appello in
sede di delibazione delle sentenze dichiarative di nullità
matrimoniali, in quanto attinente alle modalità di giudizi svoltisi
davanti a tribunali diversi da quelli dello Stato, i cui eventuali
vizi processuali debbono essere dedotti e provati ai sensi dei nn. 2 e
3, del 1° comma dell’articolo 797 c.p.c. (norma, quest’ultima, ormai
abrogata ex articolo 73, legge 31 maggio 1995, n. 218, ma connotata da
ultrattività in subiecta materia perché espressamente richiamata
dall’articolo 4, lett. b) del Protocollo addizionale all’Accordo 18
febbraio 1984 fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede). Si
aggiunga, inoltre, che nel caso di riserva mentale unilaterale, la
“non opposizione” dei coniuge incolpevole – secondo costante
giurisprudenza – è sufficiente a consentire la delibazione della
relativa sentenza ecclesiastica di nullità per esclusione unilaterale
di uno dei “bona matrimonii”. Tuttavia, detta non opposizione da parte
dell’incolpevole, nei confronti della richiesta di delibazione
avanzata dall’altro coniuge, deve in ogni caso risultare da un
comportamento processuale inequivoco e non può ritenersi sufficiente
allo scopo il semplice silenzio dell’interessato o, ancor meno, la sua
contumacia nel corso del giudizio di merito.