Per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato dell’11 febbraio
1929 con la Santa Sede, stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 (e reso
esecutivo con legge 25 marzo 1985 n. 121), deve ritenersi abrogata la
riserva di giurisdizione, a favore dei tribunali ecclesiastici, sulle
cause di nullità dei matrimoni concordatari, già prevista dall’art.
34 del suddetto Concordato, poiché l’art. 13 dell’Accordo di
revisione ha disposto l’abrogazione delle precedenti norme
concordatarie non riprodotte nel proprio testo ed in quest’ultimo non
v’è più alcuna disposizione che preveda la riserva, senza, peraltro,
che tale conclusione possa essere superata dalla opposta
interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 421
del 1993. Il venir meno della riserva di giurisdizione ha determinato
il sorgere del concorso della giurisdizione italiana e di quella
ecclesiastica sulle controversie inerenti alla nullità del matrimonio
concordatario. Tale concorso deve essere risolto secondo il criterio
della prevenzione, il quale, tuttavia, con riferimento ad una
situazione di vigenza dell’art. 3 del cod. proc. civ. del 1942 (e di
inapplicabilità della norma dell’art. 7 della legge n. 218 del 1995,
nonché dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre
1968), non deve essere intesa alla stregua dell’art. 39 cod.proc.civ.,
bensì (oltre che secondo la norma dell’art. 797 n. 5) secondo la
norma dell’art. 797 n. 6 cod.proc.civ., richiamata dall’art. 8, n. 2,
lettera c) dell’Accordo di revisione, di modo che l’instaurazione
avanti al giudice italiano di un giudizio avente il medesimo oggetto
rispetto alla sentenza ecclesiastica sulla nullità preclude la
favorevole delibazione di quest’ultima ove detto giudizio sia stato
introdotto prima del passaggio in giudicato di detta sentenza. A
seguito dell’abrogazione della riserva di giurisdizione esclusiva
ecclesiastica sulle controversie relative alla nullità del matrimonio
concordatario, per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato
del 18 febbraio 1984, reso esecutivo in Italia con legge n. 121 del
1985, l’insorgenza del concorso fra la giurisdizione italiana e quella
ecclesiastica e la conseguente applicazione, nella vigenza dell’art. 3
cod. proc. civ., delle norme dell’art. 797 n. 5 e n. 6 del cod. proc.
civ., comporta che, nel giudizio di delibazione della sentenza
ecclesiastica dichiarativa della nullità, l’identità o meno
dell’oggetto di tale sentenza rispetto a quello del giudizio pendente
avanti al giudice italiano e relativo all’accertamento negativo della
esistenza degli stessi vizi, che erano stati dedotti a fondamento
della domanda di nullità avanti al giudice ecclesiastico, deve essere
accertata tenendo conto del criterio per cui l’identità di due
giudizi va valutata identificando l’oggetto del giudicato nascente da
ognuno ed accertando se il giudicato destinato a formarsi nell’uno sia
idoneo ad esplicare efficacia preclusiva nell’altro, nonché previa
approfondita indagine sul se l’accertamento della validità o
invalidità di un matrimonio concordatario possa chiedersi al giudice
italiano sulla base del diritto nazionale o solo sulla base del
diritto canonico o sulla base di una disciplina risultante dagli
elementi comuni all’ordinamento nazionale e a quello canonico, non
essendovi comunque ragione per negare l’identità fra l’oggetto del
giudizio di delibazione e quello pendente avanti al giudice italiano,
ove l’accertamento a tale giudice richiesto sulla validità o
invalidità del matrimonio sia basato sulla invocazione delle norme
canoniche (sulla base di tali principi la Suprema Corte ha cassato con
rinvio la sentenza di merito che aveva apoditticamente escluso
l’identità, senza considerare i suddetti criteri e, particolarmente,
senza accertare quale fosse la disciplina sostanziale invocata avanti
al giudice italiano).