Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 05 settembre 2012

Per individuare in concreto quali siano gli atti che possono essere
considerati una persecuzione nell’accezione dell’articolo 9,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del
29 aprile 2004 (recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini
di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona
altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme
minime sul contenuto della protezione riconosciuta; di qui in poi
“direttiva”), non è pertinente distinguere tra gli atti che ledono un
«nucleo essenziale» («forum internum») del diritto fondamentale
alla libertà di religione, che non comprenderebbe le pratiche
religiose in pubblico («forum externum»), e quelli che non incidono
su tale presunto «nucleo essenziale».
Questa distinzione non è compatibile con la definizione estensiva
della nozione di «religione» che la direttiva fornisce
all’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), integrandovi il complesso
delle sue componenti, siano esse pubbliche o private, collettive o
individuali. Gli atti che possono costituire una «violazione grave»
ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
comprendono atti gravi che colpiscono la libertà del richiedente non
solo di praticare il proprio credo privatamente, ma anche di viverlo
pubblicamente.
Questa interpretazione è idonea ad attribuire all’articolo 9,
paragrafo 1, della direttiva una sfera di applicazione entro la quale
le autorità competenti possono valutare qualsiasi tipo di atto lesivo
del diritto fondamentale alla libertà di religione onde determinare
se, alla luce della sua natura o reiterazione, esso risulti
sufficientemente grave da essere considerato una persecuzione.
Se ne evince che gli atti i quali, a causa della loro intrinseca
gravità unitamente alla gravità della loro conseguenza per la
persona interessata, possono essere considerati persecuzione devono
essere individuati non in funzione dell’elemento della libertà di
religione che viene leso, bensì della natura della repressione
esercitata sull’interessato e delle conseguenze di quest’ultima.
Pertanto, è la gravità delle misure e delle sanzioni adottate, o che
potrebbero essere adottate, nei confronti dell’interessato che
determinerà se una violazione del diritto garantito dall’articolo
10, paragrafo 1, della Carta costituisca una persecuzione ai sensi
dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva.
Di conseguenza, una violazione del diritto alla libertà di religione
può costituire una persecuzione a norma dell’articolo 9, paragrafo
1, lettera a), della direttiva quando il richiedente asilo, a causa
dell’esercizio di tale libertà nel paese d’origine, corre un
rischio effettivo, in particolare, di essere perseguitato, o di essere
sottoposto a trattamenti o a pene disumani o degradanti ad opera di
uno dei soggetti indicati all’articolo 6 della direttiva (nel caso
di specie, due cittadini pachistani, appartenenti alla comunità
Ahmadiyya, movimento riformatore dell’Islam, erano stati oggetto nel
loro Paese di atti di violenza durante lo svolgimento delle pratiche
religiose e denunciati alle autorità per avere insultato il nome di
Maometto. In particolare, il codice penale pakistano dispone che i
membri della comunità Ahmadiyya sono passibili di una pena fino a tre
anni di reclusione o di una pena pecuniaria se affermano di essere
musulmani, qualificano come Islam la loro fede, pregano o propagano la
loro religione o se cercano proseliti. A norma dell’articolo 295 C
di detto codice penale, chiunque oltraggia il nome del profeta
Maometto può essere punito con la pena di morte o l’ergastolo oltre
a una pena pecuniaria).

Decreto 12 febbraio 1963

Sostanziandosi il delitto di pubblico vilipendio della religione dello
Stato nell’attacco alle credenze fondamentali della religione
medesima (idea di Dio, dogmi, sacramenti, riti e simboli della
Chiesa), non ne ricorrono gli estremi nell’opera cinematografica
nella quale si esprime, sia pure mediante un simbolismo di discutibile
gusto, la polemica del regista contro manifestazioni di pratica
religiosa alternantisi con episodi di vera e propria superstizione.

Sentenza 08 giugno 2006, n.05-14774

La libertà religiosa, benché sia un diritto fondamentale, non può
rendere lecito qualsiasi comportamento, in particolare non autorizza
la violazione di un regolamento condominiale. Nel caso di specie, è
legittimo richiedere la rimozione di una capanna costruita su un
balcone in occasione della festività ebraica (detta, appunto, festa
delle capanne): infatti questo comportamento viola le norme sul decoro
dell’immobile, essendo la capanna visibile dalla strada.

Decisione 09 marzo 1997

European Commission of Human Rights (First Chamber). Decision as to the admissibility of Application No. 29107/95: “Louise STEDMAN against the United Kingdom” The European Commission of Human Rights (First Chamber) sitting in private on 9 April 1997, the following members being present: Mrs. J. LIDDY, President MM. M.P. PELLONPÄÄ E. BUSUTTIL A. WEITZEL C.L. ROZAKIS […]

Sentenza 04 giugno 2003, n.16774

L’attività didattica o sanitaria svolta dal religioso non alle
dipendenze di terzi, ma nell’ambito della propria congregazione e
quale componente di essa, secondo i voti pronunciati, non costituisce
prestazione di attività di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094
c.c., soggetta alle leggi dello Stato italiano, bensì opera di
evangelizzazione “religionis causa”, in adempimento dei fini della
congregazione stessa, regolata esclusivamente dal diritto canonico, e
quindi non legittima il religioso alla proposizione di domande dirette
ad ottenere emolumenti che trovano la loro causa in un rapporto di
lavoro subordinato. L’eccezione di illegittimità costituzionale di
questa interpretazione dell’art. 2094, c.c., sollevata in riferimento
agli art. 3 e 36 cost., è manifestamente infondata, sia in quanto
l’attività è resa in virtù di una libera scelta del religioso il
quale, attraverso i voti di obbedienza, povertà e diffusione delle
fede, accetta di svolgerla senza un corrispettivo economico, sia in
quanto il carattere di normale onerosità del rapporto di lavoro non
riguarda le prestazioni svolte all’interno della comunità religiosa,
sotto l’unico stimolo di principi morali, senza la tipica
subordinazione e senza prospettive di retribuzione.

Ordinanza 17 marzo 1998

Tribunal de Grande Instance de Toulouse II Chambre. Ordonnance du 17 Mars 1998. (omissis) Par jugement du tribunal de grande instance de Toulouse en date du 7.3.1997, le divorce était prononcé entre H. O. et F. C.i, l’autorité parentale sur Vincent était dite conjointe, la résidence de l’enfant était fixée chez la mère, les séjours […]