Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 13 aprile 2016, n.84

A fronte, dunque, di quella che è stata definita “una
scelta tragica”, tra il rispetto del principio della vita (che
si racchiude nell’embrione ove pur affetto da patologia) e le
esigenze della ricerca scientifica – una decisione così
ampiamente divisa sul piano etico e scientifico, e che non trova
soluzioni significativamente uniformi neppure nella legislazione
europea – la linea di composizione tra gli opposti interessi,
che si rinviene nelle disposizioni censurate, attiene all’area
degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della
volontà della collettività, è chiamato a
tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori
fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle
istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato,
nella coscienza sociale. Compete dunque a
quest'ultimo la valutazione di opportunità (sulla base
anche delle “evidenze scientifiche” e del loro raggiunto
grado di condivisione a livello sovranazionale) in ordine: alla
utilizzazione, a fini di ricerca, dei soli embrioni affetti da
malattia – e da quali malattie – ovvero anche di quelli
scientificamente “non biopsabili”; alla selezione degli
obiettivi e delle specifiche finalità della ricerca
suscettibili di giustificare il “sacrificio”
dell’embrione; alla eventualità, ed alla determinazione
della durata, di un previo periodo di crioconservazione; nonchè
alla opportunità o meno (dopo tali periodi) di un successivo
interpello della coppia, o della donna, che ne verifichi la confermata
volontà di abbandono dell’embrione e di sua destinazione
alla sperimentazione; alle cautele più idonee ad evitare la
“commercializzazione“ degli embrioni residui.

Ordinanza 04 marzo 2015, n.164

Il Tribunale adito rimette alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, e
dell'art. 4, comma 1 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per
contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 Cost., nonche' con l'art.
117, comma 1 della Costituzione, in relazione agli articoli 8 e 14
della Cedu nella parte in cui dette norme non consentono il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita, e dunque anche alla diagnosi
preimpianto, alle coppie fertili, portatrici di malattia geneticamente
trasmissibile.

Sentenza 05 giugno 2015, n.96

La normativa in esame (artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge
n. 40/2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche
di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili), appare il risultato di un irragionevole bilanciamento
degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di
razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva
del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o
l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica
ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude,
che, nel quadro di disciplina della legge suddetta, possano ricorrere
alla PMA le coppie affette da tali patologie, adeguatamente accertate,
per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata.
Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni
cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il
pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte
precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio
normativo di gravità” già stabilito
dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978.

Sentenza 08 maggio 2015, n.501

Nel caso di specie, il Tribunale adito ha annullato la deliberazione
della Giunta regionale Venento n. 1645 del 2014, relativa al
"Documento sulle problematiche relative alla fecondazione
eterologa a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162
del 2014" della Conferenza delle Regioni e delle Province
autonome, nella parte in cui stabilisce l'accesso alle tecniche di
procreazione medicalmente assistitia (PMA) di tipo eterologo a carico
del SSN fino al compimento deil 43° anno di età della
donna, limite fissato invece a 50 anni, nel caso di PMA di tipo
omologo. La distinzione conseguente al mantenimento, per la sola
omologa, dei criteri e dei requisiti soggettivi più favorevoli
(50 anni) rispetto alla eterologa (43) – afferma la Corte – non
è infatti "in alcun modo giustificata, tanto da apparire
frutto di una non oculata valutazione circa le conseguenze che tale
specificazione avrebbe comportato". Il Collegio accoglie dunque
il ricorso proposto, in parte qua, avverso la delibera impugnata, in
quanto viziata per violazione dei principi costituzionali di
eguaglianza, nonché del diritto alla genitorialità ed
alla salute, disponendone l’annullamento nella parte in cui ha
ritenuto di applicare solo nel caso della PMA eterologa il menzionato
limite di età.