Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Parere 06 marzo 2007

Ai fini della concessioni di finanziamenti regionali volti a
realizzare interventi di “recupero e fruizione del patrimonio
culturale e ambientale”, occorre rilevare come la casa canonica sia
collegata alla Chiesa parrocchiale da un vincolo pertinenziale (ex
artt. 817 e 818 cod. civ., quale pertinenza immobiliare: cfr. Cass. n.
974/1975), il che fornisce una generale indicazione di almeno
potenziale estendibilità alla canonica del trattamento giuridico
previsto per la cosa principale; inoltre, si deve rilevare come la
struttura parrocchiale nel suo insieme, cioè comprensiva anche della
canonica, assuma uno specifico rilievo sul piano “culturale”, anche
quale centro di aggregazione umana, di ritrovo, di incontro, di
formazione e, in generale, di sviluppo della persona umana (nel caso
di specie, il provvedimento impugnato escludeva dai finanziamenti
regionali il restauro e l’adeguamento degli impianti di una Chiesa
parrocchiale e dell’annessa Canonica, perché il progetto prevedeva
non soltanto “il restauro e la realizzazione di impianti nella
Chiesa”, ma includeva anche “interventi nella casa canonica”, ambito
ritenuto “non conforme alle previsioni del complemento di
programmazione”).

Sentenza 14 giugno 2007

Nel caso in cui un’associazione religiosa cambi denominazione e
apporti modifiche allo statuto, l’autorità competente che rifiuti
di registrare l’associazione in base ai cambiamenti intervenuti viola
l’art. 9 CEDU, letto congiuntamente all’art. 11. Infatti la
mancata registrazione è da ritenersi una restrizione del diritto di
libertà di religione ex art. 9 CEDU, poiché impedisce alle
associazioni non iscritte di esercitare alcune attività connesse con
le esigenze di culto. I limiti apposti all’esercizio della libertà
religiosa, in forma individuale o collettiva, sono ammessi solo quando
sono previsti dalla legge, perseguono uno scopo legittimo e sono
necessari per la salvaguardia dell’ordine pubblico e dei diritti
altrui in una società democratica. Il diritto di libertà religiosa
comporta altresì l’esclusione di ogni interferenza dello Stato
relativamente alla organizzazione interna di confessioni e
associazioni religiose; tale organizzazione è infatti uno dei mezzi
con i quali una confessione religiosa svolge la sua attività ed
esercita il diritto di libertà di religione e deve quindi poter
essere stabilita liberamente. (Nel caso di specie una parrocchia
ortodossa aveva cambiato statuto e denominazione per passare dalla
giurisdizione del patriarcato di Mosca a quella di Kiev e si era vista
negare la registrazione. Su questo punto, le norme ucraine sono state
ritenute dalla Corte non sufficientemente chiare, tanto da configurare
una restrizione illegittima del diritto di libertà religiosa ex art.
9 CEDU. Inoltre il giudice interno aveva violato la libertà delle
confessioni religiose ad organizzarsi autonomamente, pronunciandosi,
nel negare la registrazione, sulle disposizioni dello statuto
dell’associazione religiosa in questione, concernenti la struttura
interna, l’ammissione e l’espulsione di membri).

Sentenza 12 marzo 2007

L’ordinamento giuridico italiano non propone una propria definizione
del “beneficio ecclesiastico”, rinviando alla nozione che ne prospetta
l’ordinamento canonico. Facendo, quindi, riferimento al can. 1409 del
Codice di diritto canonico del 1917 – il sistema beneficiale è stato,
infatti, abolito a seguito del nuovo Codex del 1983 e della
conclusione del processo di revisione dei Patti Lateranensi –
“beneficium ecclesiasticum est ens iuridicum a competente
ecclesiastica auctoritate in perpetuum contitutum seu erectum, costans
officio sacro et iure percipiendi reditus ex dote officio adnexos”. In
particolare, ai sensi dell’art. 28 della legge n. 222 del 1985,
l’estinzione del beneficio comporta l’acquisizione del suo patrimonio
da parte dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero e la
conseguente legittimazione esclusiva di quest’ultimo ad agire in
giudizio.

Sentenza 09 febbraio 2007, n.113

Con l’entrata in vigore del nuovo Testo Unico sull’espropriazione,
l’avvio del procedimento finalizzato all’approvazione del progetto
definitivo dell’opera pubblica e all’adozione della conseguente
dichiarazione di pubblica utilità deve essere comunicato al
proprietario delle aree interessate, come prescritto dall’art. 16
comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001; ai sensi dell’art. 17, comma 2,
D.P.R. n. 327 del 2001 l’ente locale, a mezzo raccomandata con avviso
di ricevimento, deve poi rendere edotto l’interessato della data in
cui è divenuto efficace il provvedimento che ha approvato il progetto
definitivo dell’opera pubblica e della facoltà di prendere visione
dei relativi atti. Si tratta di adempimenti distinti e separati, che
assolvono ad esigenze teleologicamente diverse. La comunicazione,
effettuata ai sensi dell’art. 17 decreto citato, non assorbe dunque
anche quella di cui al precedente art. 16. Le due formalità non sono
affatto equipollenti e nell’ambito del procedimento espropriativo,
in ragione delle (costituzionalmente rilevanti) situazioni giuridiche
intercettate, le forme diventano sostanza. L’avviso di cui all’art. 16
comma 4, D.P.R. n. 327 del 2001 realizza, infatti, una garanzia
partecipativa non meramente formale rappresentando un necessario
passaggio cognitivo-dialettico funzionale sia per la parte, che può
opporre fatti e/o circostanze non considerati, sia per
l’amministrazione che quelle osservazioni deve esaminare e valutare
prima di approvare il progetto definitivo dell’opera; per cui, da tale
omissione procedurale discende l’illegittimità degli atti approvativi
del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità ed in via
derivata di quello occupativo ed espropriativo.

Deliberazione 28 settembre 2006

Garante per la protezione dei dati personali. Deliberazione 28 settembre 2006: “Richiesta di annotazione sui registri parrocchiali”. IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Nella riunione odierna, in presenza del Prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Riseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Bultarelli, […]

Sentenza 19 giugno 2006, n.27613

La scelta di far frequentare la lezione di catechismo nello stesso
giorno fissato per l’incontro con il padre non costituisce violazione
del provvedimento adottato dal giudice in sede di separazione posto
che le decisioni dei parroci in materia di catechismo sono
insindacabili, stante la natura collettiva delle stesse e la
necessità di tener conto degli impegni scolastici dei ragazzi.

Sentenza 31 gennaio 2006, n.2166

La promozione di attività ricreative e sportive, essenzialmente
finalizzate a favorire l’aggregazione dei giovani presso le strutture
parrocchiali, costituisce un mezzo solo indiretto per la realizzazione
delle finalità pastorali, educative e caritative proprie della Chiesa
cattolica, svolgendosi in concreto con modalità non dissimili da
quelle connotanti le analoghe attività di altri soggetti, pubblici e
privati, operanti nel mondo dello sport e della ricreazione. Le
limitazioni, derivanti dal diritto comune, allo svolgimento di
siffatte attività ricreative devono pertanto ritenersi
intrinsecamente inidonee a dar luogo a quelle compressioni della
libertà religiosa e delle connesse alte finalità, che la norma
concordataria di cui all’art. 2 della Legge n. 121/85, in ottemperanza
al dettato costituzionale, ha inteso garantire, pur senza comportare
la rinuncia da parte dello Stato italiano alla tutela di beni
giuridici primari, anche garantiti dalla Costituzione (artt. 42 e 32),
quali il diritto di proprietà privata e quello alla salute (la cui
tutela anche rientra tra le esigenze perseguite dalla disciplina
dettata dall’art. 844 c.c.). Dalle suesposte considerazioni discende
che anche la Chiesa cattolica e le sue istituzioni locali, quando iure
privatorum utuntur, in quanto non diversamente disposto dalle leggi
speciali che li riguardano, sono tenuti, al pari degli altri soggetti
giuridici, all’osservanza delle norme di relazione e, dunque, alle
comuni limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà, tra le
quali rientrano quelle di cui all’art. 844 c.c. (nel caso di specie è
stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dall’art. 844 c.c.
alle immissioni sonore provocate dalle attività sportive praticate
nel campo giochi di una parrocchia).

Sentenza 10 maggio 2005, n.2234

L’art. 5, comma 1, dell’Accordo che apporta modificazioni al
Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, firmato il 18 febbraio
1984 e ratificato con la L. 25 marzo 1985 n. 121, stabilisce che
“gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati,
espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con
la competente autorità eccesiastica”. Pertanto, posto che la
qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma
assume rilevanza nell’ordinamento statale poichè introduce una
disciplina derogatoria speciale, essendo la deputatio ad cultum un
atto proprio dell’Autorità ecclesiastica, la verifica della
sussistenza di tale presupposto deve essere condotta alla luce del
Codice di Diritto Canonico. In particolare, il canone 1208 stabilisce,
al riguardo, che “della compiuta dedicazione o benedizione della
Chiesa si rediga un documento e se ne conservi una copia nella Curia
diocesana ed un’altra nell’archivio della Chiesa”. Ed il canone
1215 precisa ancora che “non si costruisca alcuna Chiesa senza il
consenso scritto del Vescovo Diocesano”. In mancanza di tale
documento che non ammette equipollenti, da redigere contestualmente
alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, come
previsto e richiesto dal canone n. 1208, non può dunque ritenersi
integrato il presupposto richiesto per l’applicazione della
particolare disciplina in esame.