Sentenza 22 maggio 2007, n.100
Il diritto di critica giornalistica e il diritto di cronaca possono
essere esercitati anche quando ne derivi una lesione all’altrui
reputazione, purché vengano rispettati determinati limiti,
individuati dalla giurisprudenza a) nella verità della notizia
pubblicata; b) nell’utilità sociale dell’informazione in relazione
all’attualità e rilevanza dei fatti narrati (c.d. pertinenza) e c)
nell’esigenza che l’informazione sia mantenuta nei limiti della
obiettività o serenità e in una forma espositiva corretta (c.d.
continenza), in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui
reputazione. Ciò rilavato, l’agente può in particolare invocare
l’esimente del diritto di cronaca, sotto il profilo putativo, solo se
abbia provato di avere riscontrato, con ogni possibile cura, la
verità dei fatti che si accingeva a narrare, al fine di vincere ogni
dubbio o incertezza intorno a essi, e ciò nonostante sia incorso
nell’errore di ritenere che tali fatti fossero veri. Nessuna efficacia
scriminante può invece riconoscersi all’errore in cui il soggetto
incorra per non aver riscontrato la verità del fatto, stante che in
questo caso il suo errore attiene a un elemento normativo, vertendo
sulla liceità del comportamento e derivando da una inesatta
conoscenza dei propri obblighi e dei presupposti normativi del diritto
di informazione (nel caso di specie, l’imputato – autore di un volume
sull’Islam in Italia – invocava quale esimente dell’utilizzo di alcune
espressioni dispregiative nei confronti della persona offesa,
l’esercizio putativo del diritto di cronaca, affermando che “a livello
di opinione pubblica quello di S. è da anni un personaggio discusso e
controverso”).