Sentenza 25 luglio 2018, n.19151/2018
La Corte di Cassazione ha confermato la condanna del medico al
risarcimento del danno da nascita indesiderata di un bambino malato,
soprattutto alla luce del fatto che la donna aveva espresso, anche
implicitamente, la volontà di abortire in caso di patologie
gravi per il nascituro. Il genitore che agisce per il risarcimento del
danno ha l'onere di provare che avrebbe esercitato la
facoltà d'interrompere la gravidanza ove fosse stata
tempestivamente informata dell'anomalia fetale, ma tale onere
può essere assolto tramite praesumptio hominis,
in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il
ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute
del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o
le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione
abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si
sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.
Circa la quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di
merito deve rigorosamente valutare tanto l'aspetto interiore del
danno (cd. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus
con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale), atteso che oggetto
dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile
è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto
costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà
naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali
aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò,
autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti
i mezzi di prova normativamente previsti.