Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 18 maggio 2011

I cambiamenti di nome e sesso vanno annotati non solo nell’atto di
nascita ma anche in quello di matrimonio (art. 69 DPR 396/2000). Del
resto, il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il
sesso d’uno dei coniugi, significherebbe mantenere un rapporto privo
del suo presupposto legittimo più indispensabile ovvero la diversità
sessuale dei coniugi.

Sentenza 25 luglio 2011, n.245

La limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel
nostro Paese – introdotta dalla rinnovato testo dell’art. 116, comma
1, c.c. – si traduce anche in una compressione del corrispondente
diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto
intende esercitare. Ciò comporta che il bilanciamento tra i vari
interessi di rilievo costituzionale coinvolti deve necessariamente
tenere anche conto della posizione giuridica di chi intende, del tutto
legittimamente, contrarre matrimonio con lo straniero.Si impone,
pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale
preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi
risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello
Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un
ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi
coinvolti nella presente ipotesi, specie ove si consideri che il
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti
volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”.

Sentenza 12 gennaio 2011, n.8

E’ infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art.
48, comma 3, della legge regionale n. 24 del 2009 – promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettere i) e l) della Costituzione – nella parte in cui
prevede che «i diritti generati dalla legislazione regionale 
nell’accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi, si applicano»
anche «alle forme di convivenza» di cui all’art. 4 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 (Applicazione del
nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente).
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la citata
disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettere i) e l),
della Costituzione, poiche’ il richiamo operato dal legislatore
regionale alle «forme di convivenza», di cui al citato d.P.R. che,
nel definire la «famiglia anagrafica», ricomprenderebbe «l’insieme
delle persone legate da vincoli affettivi», eccederebbe le competenze
regionali ed  invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato nelle
materie di «cittadinanza, stato civile e anagrafi» e
dell’«ordinamento civile». La censura si fonda infatti sull’erroneo
presupposto interpretativo, secondo cui il legislatore regionale ha
inteso disciplinare tali forme di convivenza. Viceversa, la norma
impugnata si limita ad indicare l’ambito soggettivo di applicazione
dei diritti previsti dalla legislazione regionale nell’accesso ai
servizi, alle azioni e agli interventi senza introdurre alcuna
disciplina sostanziale delle forme di convivenza. Pertanto, essa
risulta inidonea ad invadere ambiti costituzionalmente riservati allo
Stato.
 

Sentenza 04 maggio 2010, n.10734

Ai fini della trascrizione tardiva del matrimonio religioso, l’Accordo
di Villa Madama esige – all’art. 8, comma 6 – il consenso attuale del
coniuge non richiedente, distinguendo così tra la volontà di
celebrare il matrimonio e quella volta alla trascrizione dello
stesso. Deve pertanto escludersi l’ammissibilità della trascrizione
tardiva, quando la relativa richiesta sia stata presentata
all’ufficiale dello stato civile successivamente alla morte di uno dei
coniugi, in quanto la suddetta volontà del de cuius deve essere
attuale e non può venire presunta.

Circolare ministeriale 05 gennaio 2011, n.1

Circolare ministeriale 5 gennaio 2011, n. 1: "Pubblicazioni di matrimonio e affissioni relative alle istanze di modifica del nome o del cognome da parte delle amministrazioni comunali sui propri siti informatici. Circolari n. 29 del 15 dicembre 2009, n.1 del 13 gennaio 2010 e n.18 del 10 giugno 2010". Ministero dell’Interno Dipartimento per gli Affari […]

Ordinanza 05 gennaio 2011, n.4

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis,
156-bis e 231 del codice civile, nella parte in cui non consentono che
le persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio, sollevata
in riferimento agli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione.

Sentenza 23 settembre 2010, n.425/03

Nel caso di un dipendente di una confessione religiosa, licenziato per
motivi riguardanti la sfera privata (nel caso di specie: aver avuto
una relazione extra-coniugale), occorre operare un bilanciamento tra i
diritti delle parti: l’esigenza di lealtà all’organizzazione di
tendenza, da un lato, e il diritto alla vita privata e familiare,
dall’altro. Nel caso di specie, il licenziamento appare giustificato
se si considera la peculiarità delle mansioni esercitate dal
ricorrente, responsabile delle pubbliche relazioni in Europa per la
Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (Chiesa Mormone),
e la particolare importanza attribuita dalla Chiesa in questione alla
fedeltà matrimoniale. Si trattava, perciò, di un licenziamento reso
necessario dalla esigenza di preservare la credibilità della Chiesa
Mormone e il dovere di lealtà da parte dei dipendenti risultava
chiaramente dal contratto stipulato tra la Chiesa e il ricorrente; non
risulta violato l’art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata
e familiare).
Con questa sentenza (insieme alla “Schüth c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5491]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.

Sentenza 23 settembre 2010, n.1620/03

Nel rapporto di lavoro con un ente ecclesiastico (nella specie, una
parrocchia cattolica), il dipendente, firmando il suo contratto di
lavoro, accetta un dovere di lealtà verso la Chiesa e una
certa limitazione del proprio diritto al rispetto della vita privata
(sancito dall’art. 8 CEDU). Tale limitazione, tuttavia,
risulta consentita ai sensi della CEDU se liberamente accettata. Nel
caso di specie, la Corte ritiene che il dovere di lealtà non si
spinga fino al punto di obbligare il ricorrente (un organista in una
parrocchia di Essen) ad un impegno a vivere in astinenza in caso di
separazione o di divorzio; inoltre, a differenza del caso Obst c.
Germania (dove il dipendente licenziato aveva compiti di
rappresentanza e diffusione del credo della Chiesa Mormone), il
ricorrente non appare tenuto, in forza delle mansioni esercitate, a un
dovere di fedeltà particolarmente stringente. Risulta perciò violato
l’art. 8 della CEDU. Nelle sue conclusioni, la Corte ha tenuto conto
anche della difficoltà del ricorrente a trovare un nuovo impiego dopo
il licenziamento da parte della parrocchia cattolica, visto il
carattere specifico del suo lavoro. 
Con questa sentenza (insieme alla “Obst c. Germania
[https://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5492]”,
23 settembre 2010) la Corte europea dei diritti dell’Uomo si è
pronunciata per la prima volta su un caso relativo a un contrasto tra
organizzazioni di tendenza e dipendenti per motivi legati alla vita
privata di questi ultimi.