Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 14 febbraio 2008, n.3709

La prova della riserva mentale riguarda uno stato psicologico che
rimane confinato all’interno della personalità del soggetto agente.
Le dichiarazioni dello stesso sono, dunque, il mezzo con cui tale
stato soggettivo, non altrimenti conoscibile, viene esternato e può
essere conosciuto dai terzi. Sotto questo profilo, pertanto, le
dichiarazioni “de relato ex parte actoris” possono costituire elemento
di prova, quando siano idonee a chiarire quale fosse, al momento in
cui sono state rese, l’atteggiamento psicologico del dichiarante. Per
queste ragioni tali testimonianze possono concorrere a determinare il
convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze
obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne
suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a
comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di
percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica.

Sentenza 29 novembre 2007, n.24950

Tra il giudizio relativo alla nullità del matrimonio concordatario e
quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del
matrimonio non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, tale che
il secondo debba essere necessariamente sospeso a causa della pendenza
del primo ed in attesa della sua definizione, posto che trattasi di
procedimenti autonomi, non solo sfocianti in decisioni di diversa
natura (e con peculiare e specifico rilievo in ordinamenti diversi,
tanto che la decisione ecclesiastica solo a seguito di giudizio
eventuale di delibazione, e non automaticamente, può produrre effetti
nell’ordinamento italiano), ma anche aventi finalità e presupposti
differenti (Cass., Sez. 1^, 19 settembre 2001, n. 11751; Cass., Sez.
1^, 25 maggio 2005, n. 11020).

Sentenza 01 febbraio 2008, n.2467

In presenza della dichiarata esclusione di uno o più dei bona
matrimonii, quale causa di nullità del matrimonio concordatario,
l’accertamento rimesso al giudice italiano, della conoscenza o della
conoscibilità di tale esclusione da parte del coniuge non partecipe
della relativa riserva, deve essere condotto sul fondamento degli
elementi obbiettivi di prova acquisiti nel processo ecclesiastico. Il
contenuto della sentenza ecclesiastica vincola il giudice della
delibazione quanto ai fatti che in essa risultano accertati, ma non
gli pone alcun obbligo di applicare i principi enunciati in tema di
prova della simulazione; ciò in considerazione non soltanto della
totale autonomia di valutazione del giudice italiano rispetto a quello
ecclesiastico, ma anche del fatto che il tema rispettivo dei due
giudizi non coincide, giacchè il primo è diretto ad accertare la
sussistenza della voluntas simulane di un coniuge, mentre il secondo
deve verificare il profilo, affatto irrilevante nella disciplina
canonica del matrimonio, della conoscenza o conoscibilità della
riserva unilaterale.

Sentenza 03 novembre 2006, n.1785

La nullità del matrimonio, pronunziata in applicazione del punto n. 3
del canone 1095, si riferisce ad ipotesi in cui il soggetto, pur
volendo il matrimonio ed essendo in grado di sufficientemente
comprenderne gli obblighi essenziali, non è, tuttavia, in grado di
adempierli. In tali ipotesi, è’ irrilevante la mancata opposizione
del coniuge, innanzi al Tribunale ecclesiastico, alla pronunzia di
nullità, ai fini del diritto al risarcimento del danno (Nel caso di
specie, la nullità del matrimonio era stata dichiarata dal giudice
ecclesiastico per la accertata “incapacità” e/o “impossibilità” di
“assumere gli obblighi essenziali del matrimonio”, da parte di
soggetto tossicodipendente).

Sentenza 26 gennaio 2007, n.1742

Il passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della
pronuncia del Tribunale ecclesiastico che ha dichiarato la nullità
del matrimonio concordatario, in ragione della quale entrambe le parti
hanno dichiarato di ritenere cessata, tra loro, la materia del
contendere, determina l’inammissibilità del ricorso nel frattempo
proposto e pendente innanzi al giudice civile – nel caso di specie, in
ordine all’addebitabilità della separazione ed all’assegno in favore
del coniuge – per sopravvenuta carenza di interesse, con caducazione
delle pregresse decisioni di merito.

Sentenza 02 agosto 2007, n.16999

La declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale
ecclesiastico, che ha pronunciato la nullità del matrimonio
concordatario, per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi,
di uno dei bona matrimonii, cioè la divergenza unilaterale fra
volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata
manifestata all’altro coniuge, ovvero che questi l’abbia in concreto
conosciuta, oppure che non l’abbia potuta conoscere a cagione della
propria negligenza, atteso che, ove quella nullità venga fondata su
una simulazione unilaterale non conosciuta, nè conoscibile, la
delibazione della relativa pronuncia trova ostacolo nella contrarietà
con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va compreso
l’essenziale principio della tutela della buona fede e
dell’affidamento incolpevole (Cass. 2 dicembre 1993 n. 11951; Cass.
14.3.1996, n. 2138; Cass. 28.1.2005, n. 1822). (Nel caso di specie, la
Corte d’appello nell’affermare che la sentenza di primo grado del
giudice ecclesiastico non aveva riportato circostanze che
consentissero di ritenere che la riserva mentale fosse stata portata a
conoscenza della sposa o che questa potesse, con l’ordinaria
diligenza, esserne informata, trascurava altresì le dichiarazioni dei
testi al riguardo, riportate dalla sentenza ecclesiastica).

Ordinanza 21 agosto 2007, n.17767

Ai fini della delibabilità delle sentenze ecclesiastiche,
costituiscono principi di ordine pubblico quelli che esprimono le
regole fondamentali ed essenziali con le quali la Costituzione e le
leggi dello Stato delineano l’istituto del matrimonio (Corte Cost. 22
gennaio 1982 n. 18, Cass. Sez. Un. 20 luglio 1988, n. 4700 e 4701). Al
riguardo, tuttavia, deve tenersi conto anche della voluntas legis,
espressa con la stipulazione del Concordato, di dare riconoscimento,
nell’ordinamento italiano, ai vizi del consenso in relazione ai quali
l’ordinamento canonico, per la sua specialità, contiene una
disciplina particolare in ragione del suo fondamento religioso.

Sentenza 23 novembre 2007, n.24412

In tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico
dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per
difetto di consenso connesso a cause psichiche, la nullità discende
da una grave inettitudine del soggetto ad intendere i doveri del
matrimonio, in relazione al momento della manifestazione del consenso;
deve pertanto escludersi che il riconoscimento dell’efficacia di tale
sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell’ordinamento
italiano, non rilevando in contrario le differenze della disciplina
codicistica in punto di legittimazione attiva alla proponibilità
dell’azione, in quanto le stesse non investono principi di ordine
pubblico dell’ordinamento italiano. Inoltre, occorre sottolineare che
il contrasto con i principi di ordine pubblico dell’ordinamento
italiano non è ravvisabile nemmeno sotto il profilo del difetto di
tutela dell’affidamento della controparte, atteso che, mentre la
disciplina generale dell’incapacità naturale attribuisce rilievo, in
tema di contratti, alla buona o alla mala fede dell’altra parte (art.
428 c.c., comma 2), tale aspetto è invece del tutto ignorato nella
disciplina dell’incapacità naturale vista quale causa di invalidità
del matrimonio, essendo preminente, in tal caso, l’esigenza di
rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico.

Sentenza 19 ottobre 2007, n.22011

La declaratoria di esecutività della sentenza del Tribunale
ecclesiastico il quale abbia pronunciato la nullità del matrimonio
concordatario per esclusione, da parte di uno solo dei coniugi, di uno
dei bona matrimonii, postula che tale divergenza unilaterale tra
volontà e dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge, o
che sia stata da questo in effetti conosciuta, o infine che non gli
sia stata nota esclusivamente a causa della sua negligenza, atteso
che, qualora le menzionate situazioni non ricorrano, la delibazione
trova ostacolo nella contrarietà all’ordine pubblico italiano, nel
cui ambito va compreso il principio fondamentale di tutela della buona
fede e dell’affidamento incolpevole. Peraltro, se, da un lato, il
giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva
conoscibilità dell’esclusione anzidetta da parte dell’altro coniuge
con piena autonomia, senza limitarsi al solo controllo di legittimità
della pronuncia ecclesiastica di nullità, dall’altro, lato la
relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla
pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente
acquisiti, non essendovi luogo in fase di delibazione ad alcuna
integrazione di attività istruttoria. In questo senso, dunque, il
convincimento del giudice di merito ai fini della decisione ed, in
particolare, l’affermazione o l’esclusione, ad opera di quest’ultimo,
che la riserva mentale di uno dei coniugi relativa ad uno dei bona
matrimonii fosse conosciuta (o, comunque, conoscibile con l’uso della
normale diligenza) da parte dell’altro, costituisce – se motivata
secondo un logico e corretto iter argomentativo – statuizione
insindacabile in sede di legittimità, ove non è lecito proporre,
sotto il surrettizio profilo del preteso vizio di motivazione,
doglianze in ordine all’apprezzamento dei fatti e delle prove operato
dal giudice di merito, proponendone altri, diversi ed alternativi,
rispetto a quello censurato.

Sentenza 18 maggio 2007, n.11654

Il giudicato formatosi nel giudizio di cessazione degli effetti civili
del matrimonio concordatario non preclude la dichiarazione di
efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, in
quanto tale giudicato non spiega alcun effetto sul punto della
esistenza e validità del vincolo matrimoniale (salvo che la relativa
questione sia stata espressamente sollevata dalle parti e dunque
decisa necessariamente con efficacia di giudicato – trattandosi di
questione di status – ai sensi dell’art. 34 c.p.c)