Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 09 luglio 2013, n.2330/09

Con la presente sentenza, la _Grand Chamber_ della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, in riforma di una decisione della III Sezione (31
gennaio 2012)
[/areetematiche/documenti/documents/caseofsindicatulpastorulcelbunv.romaniasezione.pdf],
ha ritenuto che la Romania non abbia violato l’art. 11 CEDU nel non
riconoscere come sindacato il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_,
un’organizzazione sindacale costituita principalmente da sacerdoti
appartenenti alla Chiesa ortodossa rumena, oltre che da laici
dipendenti della stessa, la cui costituzione non era stata assentita
dall’autorità ecclesiastica (come, invece, richiesto dallo Statuto
della medesima Chiesa). In particolare, la Corte di Strasburgo ha
affermato che – a prescindere dalla qualificazione giuridica del
rapporto intercorrente tra la Chiesa ortodossa rumena ed i suoi preti
– tale rapporto, _de facto_, fa sorgere in capo a quest’ultimi un
diritto ad associarsi sindacalmente, protetto dall’art. 11 CEDU. Il
Collegio, tuttavia, ha ritenuto legittima una restrizione di tale
diritto, in considerazione del fatto che il riconoscimento del
sindacato ricorrente avrebbe comportato una violazione
dell’autonomia della Chiesa ortodossa rumena, garantita dall’art.
9 CEDU. Nel motivare la sua decisione, la Corte ha affermato che il
rispetto dell’autonomia delle confessioni religiose implica che lo
Stato debba accettare il diritto di tali confessioni a reagire –
secondo le proprie norme ed i propri interessi – a ogni movimento di
dissenso che emerga al loro interno e che possa mettere a repentaglio
la coesione, l’immagine o l’unità della confessione religiosa.
Ha, quindi, soggiunto che non è compito delle autorità nazionali
fungere da arbitro delle controversie tra le confessioni religiose e
le diverse fazioni dissidenti che esistono, o possono emergere,
all’interno delle confessioni stesse. I Giudici hanno, quindi,
ritenuto che sussista per i sacerdoti della Chiesa ortodossa rumena un
diritto ad iscriversi a, o a costituire, associazioni, purché queste
perseguano finalità compatibili con lo Statuto della medesima Chiesa
e non mettano in discussione la tradizionale struttura gerarchica
della Chiesa e le sue procedure decisionali. In conclusione, la Corte,
evidenziata l’assenza di un _consensus_ in materia a livello
europeo, ha ritenuto che sussista un ampio margine di apprezzamento da
parte dei diversi Stati nel decidere se riconoscere o meno i sindacati
che operano all’interno delle confessioni religiose e che perseguono
finalità che potrebbero limitare l’esercizio dell’autonomia delle
stesse confessioni. Nel caso specifico ha ritenuto che la Romania non
abbia oltrepassato tale margine di apprezzamento nel non riconoscere
il _Sinidcatul “Păstorul cel Bun”_ e che, pertanto, la
restrizione dell’art. 11 CEDU non sia stata sproporzionata. [La
Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento e per
la stesura del relativo Abstract Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano]

Sentenza 18 marzo 2011, n.30814/06

La presenza di un simbolo religioso, quale il crocifisso, nelle
scuole pubbliche non viola il diritto dei genitori di educare ed
istruire i figli secondo le proprie convinzioni religiose e
filosofiche (art. 2, Protocollo addizionale n. 1 CEDU).
L’obbligo degli Stati contraenti di rispettare le convinzioni
religiose e filosofiche dei genitori non si limita al contenuto
dell’istruzione e alle modalità di erogarla. Quando la
regolamentazione dell’ambiente scolastico è riservata alla
competenza delle autorità pubbliche, ciò comporta l’assunzione di
una funzione da parte dello Stato nel campo dell’educazione e
dell’insegnamento che ricade nell’ambito di applicazione
dell’art. 2 del _Protocollo n. 1_. Sennonché gli Stati contraenti
godono di un margine di apprezzamento quando si tratti di conciliare
l’esercizio di tali funzioni con il diritto dei genitori di educare
ed istruire i propri figli in conformità alle proprie convinzioni.
Questo margine di apprezzamento è nel caso di specie particolarmente
ampio data l’inesistenza di un consenso europeo sulla questione
della presenza dei simboli religiosi nelle scuole pubbliche.
Prescrivendo la presenza del crocifisso nelle aule di tali scuole si
attribuisce alla religione di maggioranza del paese una visibilità
preponderante nell’ambiente scolastico. Tuttavia, questo non è di
per sé sufficiente ad integrare un tentativo di indottrinamento da
parte dello Stato convenuto e a stabilire un inadempimento delle
prescrizioni di cui all’art. 2 del _Protocollo n. 1._
Il crocifisso appeso al muro è un simbolo essenzialmente passivo e
questo aspetto è particolarmente rilevante con riguardo
specificamente al principio di neutralità. Non ci sono del resto
elementi sufficienti per attestare l’eventuale condizionamento su
giovani persone le cui convinzioni non sono ancora definite. D’altra
parte, non si potrebbe attribuire a tale simbolo una influenza sugli
alunni comparabile a quella che può avere una lezione o la
partecipazione ad attività religiose.
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La sentenza 18 marzo 2011 accoglie il ricorso del governo italiano
contro la precedente sentenza della Seconda Sezione della Corte
europea dei diritti dell’Uomo, pronunciata il 3 novembre 2009
[https://www.olir.it/documenti/?documento=5146] (Affaire Lautsi c.
Italia, n. 30814/06)

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In OLIR.it la sentenza 18 marzo 2011 in inglese e francese:
Grand Chamber. Case of Lautsi and others v. Italy
[/areetematiche/documenti/documents/5601_lautsi_and_others_v__italy.pdf]
Grande Chambre. Affaire Lautsi et autres c. Italie
[/areetematiche/documenti/documents/affaire-lautsi-%20et-autres-%20c.-italie.pdf]