Non tutti gli atti ispirati dal credo religioso sono da considerarsi
una manifestazione della libertà religiosa tutelata
dall'art. 9 della CEDU: per godere della protezione di tale
articolo, deve trattarsi di atti "strettamente connessi alla
religione". La libertà di manifestare il credo, tuttavia,
non è limitata agli atti di culto, ma si estende anche ad altri
comportamenti e pratiche. Per quanto riguarda la tutela della
libertà religiosa nel luogo di lavoro, la giurisprudenza della
Corte europea ha spesso affermato che, qualora vi siano delle
restrizioni alla messa in atto di particolari pratiche connesse alla
religione, la libertà dei lavoratori non sarebbe violata nel
caso in cui possano dimettersi e cambiare lavoro. Tuttavia, in primo
luogo questo criterio non è sempre applicabile e deve tener
conto della tipologia delle restrizioni previste; in secondo luogo,
data l'importanza della libertà religiosa per le
società democratiche, occorre valutare se la possibilità
del lavoratore di cambiare impiego sia accettabile, considerato il
contesto e la proporzionalità delle restrizioni poste a tale
libertà.
Per quanto riguarda il divieto di
discriminazione (art. 14, da analizzare congiuntamente all'art. 9
CEDU), la Corte ricorda che risultano vietati sia trattamenti diversi
di situazioni analoghe, sia trattamenti uguali di situazioni
differenti, a meno che non si tratti del perseguimento di un obiettivo
legittimo e ragionevole, nel rispetto del principio di
proporzionalità.
La proporzionalità (relativa sia
ai limiti alla libertà religiosa, sia alla valutazione della
discriminatorietà di un trattamento) deve essere valutata nel
rispetto del "margine di apprezzamento", ovvero una certa
discrezionalità riconosciuta agli Stati nell'applicazione
dei diritti fondamentali. Nei quattro casi riuniti ed esaminati dalla
sentenza – tutti relativi a controversie avvenute nel Regno Unito a
proposito di pratiche religiose sul luogo di lavoro – la Corte di
Strasburgo ha affermato che:
- nel caso della prima ricorrente
(Ms. Eweida), la decisione di British Airways di licenziare una
hostess che aveva indossato un crocifisso visibile sulla sua divisa
era da ritenersi non proporzionale e, di conseguenza, i giudici
nazionali hanno violato il diritto di libertà religiosa nel
convalidare il licenziamento;
- nel caso della seconda
ricorrente (Ms. Chaplin), il divieto di indossare una catenina con la
croce era invece da considerare proporzionato, perché
finalizzato alla tutela della salute e sicurezza dei pazienti e dei
lavoratori di un ospedale pubblico;
- nel caso della terza
ricorrente (Ms. Ladele), il rifiuto di registrare le unioni
omosessuali nel registro dello stato civile era sì un atto
intimamente connesso al credo cristiano; tuttavia l'intervento
dello Stato, che ha riconosciuto i medesimi diritti alle coppie
eterosessuali ed omosessuali, è da ritenersi legittimo e la
limitazione alla manifestazione del credo è stata
proporzionale, rientrando nel margine di apprezzamento nazionale la
valutazione e il bilanciamento dei diritti di non discriminazione
religiosa e di parità in base all'orientamento
sessuale;
- nel caso del quarto ricorrente (Mr. McFarlane),
analogamente a quello della sig.ra Ladele, le autorità statali
hanno operato un corretto bilanciamento degli interessi in gioco,
nell'ambito del loro margine d'apprezzamento, anche tenuto
conto che il ricorrente aveva volontariamente accettato di svolgere
attività di consulenza in una società privata, sapendo
di venire a contatto anche con coppie dello stesso sesso.
(Stella Coglievina)
Le sentenze dei tribunali inglesi:
Eweida
v. British Airways (Court of Appeal, 12 febbraio 2010)
Eweida v.
British Airways (Employment Appeal Tribunal, 20 novembre 2008)
Chaplin
v. Royal Devon and Exeter NHS Foundation Trust (Employment
Tribunal, 21 ottobre 2010)
Ladele v.
London Borough of Islington (sentenza 15 dicembre 2009)
Caso
McFarlane: Contrasto tra convinzioni religiose e prestazioni
lavorative (sentenza 29 ottobre 2010)
McFarlane vs.
Relate Avon LTD (Employment Appeal Tribunal 30 novembre 2009)