Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 24 maggio 2016

La mancanza di un luogo di culto per esercitare regolarmente il
proprio credo si riflette direttamente sulla libertà religiosa,
per la cui piena realizzazione ha un grande rilievo la
possibilità di svolgere cerimonie in luoghi in cui i fedeli
possano riunirsi collettivamente. La normativa urbanistica in esame e
la sua applicazione – secondo la Corte adita – di fatto impediscono a
piccole comunità di potere rispettare le condizioni per
costruire un luogo di culto. Di qui la constatazione
dell'ingerenza che, pur perseguendo un fine in sè
legittimo, tra cui la sicurezza nazionale, è sproporzionata e
non necessaria in una società democratica e pluralista.

Sentenza 24 marzo 2016, n.63

Sono fondate le questioni di legittimità costituzionale aventi
ad oggetto i commi 2, 2-bis, lettere a) e b), e 2-quater,
dell’art. 70 della legge regionale Lombardia n. 12 del 2005,
come modificati dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge
regionale n. 2 del 2015, per violazione degli artt. 3, 8, 19 e 117,
secondo comma, lettera c), della Costituzione.
In virtù
delle modifiche apportate dalla legge regionale n. 2 del 2015, la
legge regionale n. 12 del 2005, sul governo del territorio, nel capo
dedicato alla realizzazione di edifici di culto e di attrezzature
destinate a servizi religiosi (artt. 70-73), distingue tre ordini di
destinatari: gli enti della Chiesa cattolica (art. 70, comma 1); gli
enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato abbia
già approvato con legge un’intesa (art. 70, comma 2); gli
enti di tutte le altre confessioni religiose (art. 70, comma 2-bis). A
questa terza categoria di enti, collegati alle confessioni
“senza intesa”, i citati artt. 70-73 sono applicabili solo
a condizione che sussistano i seguenti requisiti: «a) presenza
diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un
significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale
vengono effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo; b) i
relativi statuti esprim[a]no il carattere religioso delle loro
finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori
della Costituzione» (art. 70, comma 2 bis). In virtù del
comma 2-quater dell’art. 70, la valutazione di tali requisiti
è obbligatoriamente rimessa al vaglio preventivo,
ancorché non vincolante, di una consulta regionale, da
istituirsi e nominarsi con provvedimento della Giunta regionale della
Lombardia.
Ciò rilevato, la Regione è titolata,
nel governare la composizione dei diversi interessi che insistono sul
territorio, a dedicare specifiche disposizioni per la programmazione e
realizzazione di luoghi di culto;  viceversa, essa esorbita dalle
sue competenze, entrando in un ambito nel quale sussistono forti e
qualificate esigenze di eguaglianza, se, ai fini
dell’applicabilità di tali disposizioni, impone requisiti
differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le
quali non sia stata stipulata e approvata con legge un’intesa ai
sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione. Del resto la
giurisprudenza della Corte adita è costante
nell’affermare che il legislatore non può operare
discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola
circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti
con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n.
195 del 1993), posto che Il libero esercizio del culto è un
aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19) ed
è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le
confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma).
Per
queste ragioni, deve essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, sia nelle lettere a) e
b), sia nella parte dell’alinea che le introduce (vale a dire,
nelle parole «che presentano i seguenti requisiti:»), e
2-quater, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.

Ordinanza 18 febbraio 2016, n.5341

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. IV, sent.
30.01.22014, n. 285/2012) ha chiarito che in assenza di una
definizione di conflitto armato interno, la definizione della portata
di questi termini deve essere stabilita sulla base del suo significato
abituale nel linguaggio corrente ovvero una situazione in cui le forze
governative di uno Stato si scontrano con uno i più gruppi
armati o nella quale due o più gruppi armati si scontrano tra
loro, senza che l’intensità degli scontri armati, il
livello di organizzazione delle forze armate presenti o la durata del
conflitto siano oggetto di una valutazione distinta da quella relativa
al livello di violenza che imperversa nel territorio in questione. In
questo senso, la situazione del Pakistan appare, dunque,
particolarmente delicata, connotata da un elevato rischio di attentati
terroristici nonché teatro di sequestri da parte di gruppi
criminali, scontri e disordini di carattere religioso.

Sentenza 09 febbraio 2016, n.166

L'art. 96, comma 4 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che
“Gli edifici e le attrezzature scolastiche possono essere
utilizzati fuori dell’orario del servizio scolastico per
attività che realizzino la funzione della scuola come centro di
promozione culturale, sociale e civile …”. Tale norma
tuttavia non scinde il nesso con le attribuzioni
dell’istituzione che ha in uso i locali, ancorandone la
destinazione al raggiungimento di obiettivi che sottintendono la piena
partecipazione della comunità scolastica, oltre che della
collettività in generale, in funzione di una crescita
complessiva improntata all’arricchimento del loro patrimonio
culturale, civile e sociale. In questo senso, a parere della Tribunale
adito, non v’è spazio pertanto per riti religiosi –
riservati per loro natura alla sfera individuale dei consociati
–, mentre possono esservi occasioni di incontro su temi anche
religiosi che consentano confronti e riflessioni in ordine a questioni
di rilevanza sociale, culturale e civile, idonei a favorire lo
sviluppo delle capacità intellettuali e morali della
popolazione, soprattutto scolastica, senza al contempo sacrificare la
libertà religiosa o comprimere le relative scelte. Il fatto che
un’invalicabile linea di confine sia a tali fini costituita
dalla circostanza che si tratti o meno di un atto di culto religioso
è del resto confermato da una pronuncia del giudice
amministrativo che, chiamato a stabilire se dovesse riconoscersi alla
visita pastorale dell’Ordinario diocesano presso le
comunità scolastiche un effetto discriminatorio nei confronti
dei non appartenenti alla religione cattolica, ha rilevato come, alla
luce della definizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 222
del 1985, non si trattasse di attività di culto o di cura delle
anime ma piuttosto di testimonianza culturale tesa ad evidenziare i
contenuti della religione cattolica in vista di una corretta
conoscenza della stessa, così come sarebbe stato nel caso di
audizione di un esponente di un diverso credo religioso o spirituale
(v.
Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2010 n. 1911)
. Nel caso in esame,
al contrario, è stato autorizzato un vero e proprio rito
religioso da compiersi nei locali della scuola e alla presenza della
comunità scolastica, sì che non ricorre l’ipotesi
di cui all’art. 96, comma 4, del d.lgs. n. 297 del 1994. Sono
pertanto annullate le deliberazioni del Consiglio di Istituto che
avevano concesso l'apertura dei locali scolastici per le
benedizioni pasquali richieste dai parroci del territorio al termine
dell'orario scolastico.


[La Redazione di OLIR.it ringrazia
per la segnalazione del documento il Prof. Manlio Miele –
Università degli Studi di Padova]