Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 21 maggio 2002

Stati Uniti. Courts of Appeal, Second circuit, Sentenza 21 maggio 2002: "Commack Self-Service Kosher Meats INC vs. Weiss". Uso dei marchi alimentari kosher e Non-Establishment clause". COMMACK SELF-SERVICE KOSHER MEATS, INC., d/b/a Commack Kosher, Brian Yarmeisch and Jeffrey Yarmeisch, Plaintiffs-Appellees, v. Rabbi Luzer WEISS, as Director of the Kosher Law Enforcement Division of The New […]

Sentenza 27 febbraio 2013, n.2013 SCC 11

Con questa sentenza la Corte Suprema del Canada ha dichiarato la
parziale illegittimità dell’art. 14, c. 1, lett. (b) del
_Saskatchewan Human Rights Code_, nella parte in cui vieta(va) ogni
manifestazione pubblica del pensiero «_that ridicues, belittles or
otherwise affront the dignity_» di persone o gruppi di persone, con
una motivazione proibita dalla legge. È stato, infatti, ritenuto che
simili manifestazioni del pensiero non siano idonee a suscitare nel
pubblico un livello di odio verso il _protected group_ tale da
giustificare una restrizione delle libertà di espressione e di
religione tutelate dalla Carta canadese dei diritti e delle libertà.
Il Supremo Consesso ha, invece, ritenuto legittima e conforme alla
Carta la residua disposizione della citata norma del _Saskatchewan
Human Rights Code_, laddove proibisce le manifestazioni pubbliche del
pensiero «_that expose[s] and tends to expose to hatred_» persone o
gruppi di persone, sulla base di una caratteristica protetta. Pur
riconoscendo che ciò costituisce una compressione delle libertà di
espressione e di religione, la Corte canadese ha considerato tale
limitazione ragionevole e manifestamente giustificata in una società
libera e democratica, poiché lo scopo della norma è quello di
evitare espressioni pubbliche idonee a determinare successive condotte
discriminatorie o violente nei confronti del _targeted group_, non
quello di prevenire le offese ai sentimenti delle persone. La sentenza
ha, inoltre, ritenuto che l’_hate speech_ rivolto al comportamento
sessuale debba considerarsi riferito anche all’orientamento sessuale
(che è uno dei motivi di discriminazione vietati), atteso che in tal
caso il comportamento concorre in maniera fondamentale ed inseparabile
ad identificare l’orientamento sessuale. Nel caso di specie era
contestata la violazione della richiamata previsione del _Saskatchewan
Human Rights Code_ in relazione a quattro volantini distribuiti da un
attivista anti-omosessuale cristiano che nel testo di essi aveva, tra
l’altro, citato alcuni versetti biblici. In applicazione dei
principi indicati, la Corte nel merito ha concluso per la liceità di
due dei volantini, ritenendo invece che gli altri due integrassero un
_hate speech_, in parziale riforma della sentenza appellata che, pur
considerando legittima la normativa del Saskatchewan, aveva
considerato leciti tutti quattro i volantini.

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(La Redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione del documento
e la stesura del relativo abstract  Mattia F. Ferrero, Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

Sentenza 19 marzo 2013, n.536

Nel settore privato, e in particolare in ambienti che non offrono un
servizio pubblico (un asilo privato, nel caso di specie) il principio
di laicità non può essere invocato per giustificare una restrizione
dei diritti fondamentali dei lavoratori, garantiti dal Code du
Travail. In base alle norme del Codice, è possibile stabilire alcune
limitazioni ai diritti dei lavoratori dipendenti, e quindi anche al
diritto di libertà religiosa, quando necessario per la natura e il
contesto del lavoro e per una finalità legittima. Nel caso dell’asilo
privato “Baby Loup”, il regolamento interno vietava di indossare
simboli e capi d’abbigliamento religiosi, ma tale clausola generale
risulta essere illegittima perché non giustificata dal lavoro svolto
dalla ricorrente. In particolare, il principio di laicità – che
giustifica il divieto di portare il velo islamico o altri simboli
religiosi – impone la neutralità a chi svolge un servizio pubblico ma
non a chi lavora in uno stabilimento privato con mansioni diverse dal
servizio pubblico (v. in questo senso anche la sentenza, emessa lo
stesso giorno, Mme X. c. Caisse primaire d’assurance maladie de
Seine-Saint-Denis
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6076]). Il
licenziamento della ricorrente, che aveva rifiutato di togliere il
velo, è perciò discriminatorio sulla base della religione e
illegittimo (Stella Coglievina).

Sentenza 19 marzo 2013, n.537

Non è discriminatorio vietare di indossare simboli che mostrano
l’appartenenza religiosa, politica o ideologica in luoghi di lavoro
dove si fornisce un servizio pubblico. Nel caso di specie, è
legittimo il licenziamento di un’impiegata musulmana che aveva
indossato il velo, considerata la natura e il contesto delle mansioni
svolte. La ricorrente, infatti, era dipendente di un ente che, pur
essendo di diritto privato, offriva un servizio pubblico; di
conseguenza prevedeva, nel regolamento interno, un divieto di portare
simboli religiosi, al fine di garantire la neutralità del servizio
pubblico. La tutela della laicità dello Stato e della neutralità del
servizio pubblico giustifica, quindi, la restrizione della libertà
religiosa dei dipendenti, tutelata in termini generali dagli articoli
L. 1121-1 e L. 1321-3del Code du travail. (Cfr. anche la sentenza,
emessa lo stesso giorno, Mme Fatima X. c. Association Baby Loup
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6077]) (Stella
Coglievina).

Sentenza 06 febbraio 2013, n.4118/2011

El derecho de libertad religiosa solo puede limitarse para proteger el
“derecho de los demás al ejercicio de sus libertades públicas y
derechos fundamentales” y para “la salvaguardia de la seguridad,
de la salud y de la moralidad pública” (cf art. 3.1 de la Ley
Orgánica de Libertad Religiosa, de 5 de julio de 1980
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=635]). En este caso
concreto (prohibición del velo integral en los servicios y locales
públicos), no se ha demostrado, a juicio del Tribunal, que concurra
ninguno de esos presupuestos que legitiman un límite al ejercicio de
la libertad religiosa.
In OLIR.it:
Tribunal Superior de Justicia, sentenza 7 giugno 2011, n. 489 (I
grado)