Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 30 gennaio 2003, n.42

Si dichiara l’inammissibilità della richiesta di referendum popolare
volto all’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell’art. 1
l. 10 marzo 2000 n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni
sul diritto allo studio e all’istruzione), richiesta peraltro
dichiarata legittima, con ordinanza 9 dicembre 2002, dall’ufficio
centrale costituito presso la Corte di cassazione, con la
denominazione “Scuola privata: abrogazione di norme relative a
contributi statali e di norme agevolatrici in materia di personale
docente”. Il quesito referendario risulta infatti, in primo luogo,
intimamente contraddittorio, in quanto, con la richiesta di
abrogazione delle parole “e dalle scuole paritarie private”, si
propone lo scopo di espungere dal sistema nazionale di istruzione le
scuole paritarie, le quali, al contrario, continuerebbero a farne
parte integrante alla stregua della normativa più dettagliata,
contenuta nel medesimo art. 1, non toccata dal quesito: ne risulta in
tal modo investita la stessa “ratio” del quesito, giacché una volta
che il legislatore abbia istituito il sistema scolastico nazionale,
espungere da questo una categoria di scuole che, obbligate a
conformarsi ai prescritti standard qualitativi, restano invece
assoggettate al medesimo e comune regime richiesto dall’art. 33 comma
4 cost. ai fini della parità, risulta non solo contraddittorio ma
anche discriminatorio, non essendo concepibile, in un regime di
esclusione concettuale dal sistema nazionale quale è quello cui tende
la richiesta referendaria, una parità effettiva che non si riduca a
mera declamazione verbale, poiché le formulazioni di principio non
sono mai vuote e inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici capaci
di immettere nell’ordinamento virtualità interpretative altrimenti
assenti e di ovviare alle eventuali imprecisioni o alle lacune in
questo riscontrabili. Il quesito referendario risulta altresì
disomogeneo, in quanto unifica oggetti rispetto ai quali la scelta
dell’elettore non può essere costretta in un solo quesito, quali, da
un lato, l’eliminazione dell’agevolazione che viene assicurata alle
scuole paritarie, consistente nel potersi avvalere anche delle
prestazioni volontarie di personale docente o di prestatori d’opera
professionale e, dall’altro, la preclusione del sostegno alle famiglie
degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal
rimborso della spesa sostenuta e documentata per l’istruzione
scolastica.

Ordinanza 07 ottobre 2002, n.423

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 33 comma 4 cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 legge 10
dicembre 1997 n. 425, il quale, disciplinando lo svolgimento degli
esami di idoneità alle varie classi dei corsi di studio nelle scuole
pareggiate o legalmente riconosciute, consente al candidato esterno di
presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente
superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di
licenza o promozione dal candidato stesso posseduto, cosi riservando
alle scuole non statali una disciplina deteriore rispetto a quella
delle scuole statali. La regola generale vigente in materia è,
infatti, quella che ammette la possibilità di abilitazione al salto
di classe per un solo anno, sia con riguardo ai candidati che sono
alunni frequentanti scuole statali o non statali pareggiate o
legalmente riconosciute, sia con riguardo ai candidati esterni che si
presentano per gli esami di idoneità presso istituti non statali,
pareggiati o riconosciuti, mentre è l’art. 193 comma 2 d.lg. 16
aprile 1994 n. 297, che deroga a tale quadro generale, consentendo ai
candidati privatisti di anticipare più di un anno scolastico, sia
pure nel rispetto della durata temporale del corso normale degli
studi, deroga che, per effetto della disposizione censurata, è non
irragionevolmente limitata dal legislatore – fino alla realizzazione
della piena parità tra scuole statali e scuole non statali,
subordinata alla idoneità di queste ultime, secondo quanto stabilito
dalla legge 10 marzo 2000 n. 62 per le scuole paritarie, ad adempiere
precise condizioni per il riconoscimento della piena parità – agli
esami di abilitazione sostenuti presso istituti o scuole statali.

Sentenza 14 novembre 2002, n.574

Il controllo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle
decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è
circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi
concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato
rispetto dei limiti esterni della giurisdizione del giudice
amministrativo, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio
della funzione giurisdizionale, cui attengono gli errori in iudicando,
giacché detti errori esorbitano dai confini dell’astratta valutazione
di sussistenza degli indici definitori della materia ed attengono
all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla
legge al giudice amministrativo, investendo quindi l’accertamento
della fondatezza o meno della domanda. (Nella specie – chiamato a
giudicare della legittimità del diniego di conferma, da parte del
preside di istituto scolastico, di un insegnante di religione a
seguito della revoca della dichiarazione di idoneità da parte
dell’ordinario diocesano e del conferimento dell’incarico ad altro
insegnante, in un caso nel quale l’ordinario diocesano aveva,
contestualmente alla revoca, riconosciuto detta idoneità al primo
insegnante per altro istituto scolastico – il Consiglio di Stato aveva
annullato l’atto impugnato, ritenendo la dichiarazione di idoneità e
di revoca da parte del vescovo atto endoprocedimentale finalizzato al
provvedimento finale, in quanto tale suscettibile di valutazione sotto
il profilo della conformità ai criteri di ragionevolezza e di non
arbitrarietà; le S.U., investite del ricorso dell’istituto
scolastico, lo hanno dichiarato inammissibile, in quanto risolventesi
in una non consentita prospettazione di “errores in iudicando”).

Sentenza 25 settembre 2003, n.2915

In base all’articolo 7 della legge 11 giugno 1974, n. 252, gli
istituti, enti e ospedali che eroghino prestazioni del Servizio
sanitario nazionale hanno diritto all’esonero dal pagamento dei
contributi dovuti alla Cassa unica assegni familiari, purché non
perseguano fini di lucro e assicurino ai dipendenti un trattamento per
carichi di famiglia non inferiore a quello previsto per gli assegni
familiari dal d.P.R. n. 797 del 1955. L’assenza del fine di lucro,
quale requisito per l’esonero dal pagamento dei contributi dovuti alla
Cassa Unica Assegni Familiari, ai sensi dell’art. 23 bis d.l. 30
dicembre 1979, n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33,
sussiste nel caso in cui un ente, pur esercitando attività di
carattere imprenditoriale, destini gli eventuali profitti al
conseguimento delle finalità istituzionali perseguite.
(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva
ritenuto sussistenti i requisiti per l’esonero in favore di una casa
di cura di proprietà di una congregazione religiosa, avendo accertato
che eventuali avanzi di gestione non venivano incamerati dall’ente
quale profitto dell’attività di cura, ma venivano destinati dall’ente
al miglior conseguimento delle proprie finalità istituzionali).

Costituzione 02 aprile 1976

Costituzione, 2 aprile 1979 e successivi emendamenti. Fundamental Principles Article 1 Portuguese Republic Portugal is a sovereign Republic, based on the dignity of the human person and the will of the people, and committed to building a free and fair society that unites in solidarity. Article 2 Democratic State, Rule of Law The Portuguese Republic […]

Sentenza 16 febbraio 2004, n.2912

In tema di licenziamento, l’applicazione della disciplina prevista per
le cosiddette organizzazioni di tendenza dall’art. 4 legge 11 maggio
1990, n. 108 (con conseguente esclusione, nei loro confronti, della
tutela reale di cui all’art. 18 legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall’art. 1 citata l. n. 108 del 1990), presuppone
l’accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della
presenza dei requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza,
definita come datore di lavoro non imprenditore che svolge, senza fine
di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di
istruzione, ovvero di religione e di culto, e, più in generale,
qualunque attività prevalentemente ideologica purché in assenza di
una struttura imprenditoriale. Inoltre, il fine ideologico o di culto
di una associazione non esclude “ex se” la possibilità di svolgimento
di attività imprenditoriale; il relativo accertamento costituisce una
valutazione di fatto demandata anche al giudice di merito.

Costituzione 01 ottobre 1920

Costituzione, 1° ottobre 1920 e successivi emendamenti. Chapter I General Provisions (Omissis) Article 7 Equality, Political Rights (1) All federal nationals are equal before the law. Privileges based upon birth, sex, estate, class, or religion are excluded. (2) Public employees, including members of the Federal Army, are guaranteed the unrestricted exercise of their political rights. […]

Sentenza 03 giugno 2003, n.1367

Ai fini dell’applicazione dell’art. 4 della legge 11 maggio 1990, n.
108, che esclude dall’ambito di operatività dell’art. 18 della legge
20 maggio 1970, n. 300 i datori di lavoro non imprenditori che
svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale,
culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, il datore di
lavoro è qualificabile o meno come imprenditore in base alla natura
dell’attività da lui svolta, da valutare secondo gli ordinari
criteri, che fanno riferimento al tipo di organizzazione e
all’economicità della gestione, a prescindere dall’esistenza di un
vero e proprio fine di lucro, restando irrilevante che la prestazione
di servizi, ove effettuata secondo modalità organizzative ed
economiche di tipo imprenditoriale, sia resa solo nei confronti di
associati al soggetto che tali servizi eroga ovvero ad
un’organizzazione sindacale cui il soggetto erogatore sia collegato.
(Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva
ritenuto di tipo imprenditoriale l’attività di prestazione di servizi
svolta dalla Confesercenti, o società a questa collegate, in favore
di imprese associate).

Sentenza 14 marzo 2003, n.12634

Al fine di configurare un’organizzazione di tendenza, che, ai sensi
dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, è esclusa dall’ambito di
operatività della tutela reale prevista – in caso di licenziamenti
illegittimi – dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (come
modificato dall’art. 1 della legge n. 108 del 1990), è necessario che
si tratti di datore di lavoro “non imprenditore”, privo dei requisiti
previsti dall’art. 2082 c.c. (e cioè professionalità,
organizzazione, natura economica dell’attività).In particolare,
l’applicazione della disciplina prevista dalla predetta legge n. 108
del 1990 per le organizzazioni di tendenza presuppone l’accertamento
in concreto da parte del giudice di merito dell’assenza nella singola
organizzazione di una struttura imprenditoriale e della presenza dei
requisiti tipici dell’organizzazione di tendenza, come definita dalla
stessa legge all’art. 4. (Nella specie la S.C. ha confermato la
sentenza di merito che aveva ritenuto la natura di organizzazione di
tendenza dell’Associazione nazionale bieticoltori, argomentando dalla
natura della stessa di ente con personalità giuridica privata, senza
finalità di lucro, in quanto avente lo scopo della tutela degli
interessi collettivi professionali della categoria dei coltivatori di
bietole, e priva del carattere imprenditoriale, non svolgendo alcuna
attività economica).

Sentenza 31 gennaio 2003, n.11883

In base al disposto dell’art. 4 della legge n. 108 del 1990, i
lavoratori dipendenti dalle organizzazioni di tendenza (nel caso di
specie, l’Inas) non godono della tutela reale di cui all’art. 18 della
legge n. 300 del 1970, ma godono comunque della tutela prevista per la
generalità dei lavoratori; in particolare, deve escludersi
l’esenzione delle organizzazioni di tendenza dalla regolamentazione
legislativa dei trasferimenti dei lavoratori.