Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 24 novembre 2011, n.43646

L’avere sottoposto il proprio figlio ad intervento di circoncisione
ad opera di soggetto non abilitato all’esercizio della professione
medica, con conseguenze dannose per la salute dello stesso, integra in
astratto il concorso nel reato di cui all’art. 348 c.p. (esercizio
abusivo della professione medica). In particolare, sotto il profilo
della materialità, si è di fronte ad un reato c.d. “culturalmente
orientato”, nel quale viene in rilevo un conflitto, per così dire,
“esterno” dell’agente, che si realizza cioè quando
quest’ultimo – avendo recepito le norme della cultura e della
tradizione di un determinato gruppo etnico nella sua formazione –
migra in un’altra realtà territoriale dove quelle norme non sono
presenti. Ciò premesso, nel caso di specie, la Corte adita tuttavia
ha accolto il ricorso presentato dal genitore, ritenendo sussistenti
in concreto gli estremi dell’error iuris “scusabile”. La
valutazione dell’ignorantia legis c.d. inevitabile – e quindi
scusabile – implica, infatti, che il giudizio di rimproverabilità
del soggetto agente debba necessariamente estendersi alla valutazione
del processo formativo della sua volontà, per stabilire se – al
momento dell’azione posta in essere – si sia reso conto
dell’illiceità della sua condotta e del valore tutelato dalla norma
violata. Ciò non può che avvenire attraverso il raffronto tra dati
oggettivi, che possono avere determinato nell’agente l’ignorantia
legis circa l’illiceità del suo comportamento, e dati soggettivi
attinenti alle conoscenze e alle capacità dell’agente, che
avrebbero potuto consentire al medesimo di non incorrere dell’error
iuris. Nel caso di specie, si è ritenuto – quale dato oggettivo
incontestabile – il difettoso raccordo che si determina tra una
persona di etnia africana, migrata in Italia e ancora non integrata
nel relativo tessuto sociale, e l’ordinamento giuridico del nostro
Paese, di cui quest’ultima ha conseguentemente difficoltà nel
recepire, con immediatezza, valori e divieti. Quanto all’aspetto
soggettivo, sono stati valutati, da un lato, il basso grado di cultura
della madre e, dall’altro, il forte condizionamento derivatole dal
mancato avvertimento dell’esistenza di un conflitto “interno”
(vale a dire l’avvertito disvalore della sua azione rispetto alle
regole della sua formazione culturale). Circostanze queste ultime che
– secondo la Corte adita – attenuano il dovere di diligenza
finalizzato alla conoscenza degli ambiti di liceità consentiti nel
diverso contesto territoriale in cui il genitore venga a trovarsi.

Risoluzione 22 maggio 2001, n.1247

Council of Europe, Parliamentary Assembly. Resolution 22 May 2001, n. 1247 (2001): "Female genital mutilation". [1]  1. The Assembly recalls and reaffirms Resolution 1018 (1994) and Recommendation 1229 (1994) on equality of rights between women and men and the Declaration on Equality of Women and Men adopted by the Committee of Ministers on 16 November 1988. […]

Legge 14 novembre 2002, n.41

Ley 14 noviembre 2002, n. 41: “Básica Reguladora de la Autonomía del Paciente y de Derechos y Obligaciones en Materia de Información y Documentación Clínica”. (“Boletín Oficial del Estado” n. 274 del 15 de noviembre de 2002) CAPÍTULO I. Principios generales Artícu1o 1. Ámbito de aplicación La presente ley tiene por objeto la regulación de […]

Legge provinciale 07 dicembre 1978, n.69

Legge provinciale 7 dicembre 1978, n. 69: “Servizio di prevenzione, cura e riabilitazione delle forme di devianza sociale, tossicodipendenza e alcolismo”. (da “Bollettino Ufficiale della regione Trentino-Alto Adige” n. 24 del 15 maggio 1979) (Omissis) ARTICOLO 3 (Gratuità dei servizi) Tutte le prestazioni rese nell’ ambito del presente servizio sono gratuite per tutti i cittadini, […]

Sentenza 07 maggio 2003, n.8827

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Unica possibile forma di
liquidazione di ogni danno privo, come il danno biologico ed il danno
morale, delle caratteristiche della patrimonialità è quella
equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita
nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un
pregiudizio non economico. Di conseguenza non sussiste alcun ostacolo
alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi
congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente
invalidanti; nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume
posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale
deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi
in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso
nel danno morale soggettivo.
La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va
tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento
generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di
duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto
come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della
persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale
e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno
biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una
lesione dell’integrità psico – fisica secondo i canoni fissati dalla
scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente
inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera
sofferenza psichica e del patema d’animo) nonché dei pregiudizi,
diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di
un interesse costituzionalmente protetto. Ne deriva che, nella
liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori, il giudice, in
relazione alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno
alla persona, non può non tenere conto di quanto già eventualmente
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, pure esso
risarcibile, quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse,
ancorché il fatto non sia configurabile come reato. Infine il
riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, comma 1, cost.)
va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle
estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo,
con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio
senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo
alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale
ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a
gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il
fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto,
provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed
una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che
dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente
nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione
all’esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari)
bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti,
deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore
apprestata dall’art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse
della persona costituzionalmente protetto.

Sentenza 29 aprile 2002

Nel caso “Pretty v. the United Kingdom”, il diniego di autorizzazione
all’eutanasia mediante suicidio assistito non integra una violazione
di nessuno dei seguenti articoli della CEDU – Convenzione europea dei
diritti dell’uomo: art. 2 (diritto alla vita), art. 3 (divieto di
trattamenti e pene inumani o degradanti), art. 8 (rispetto della vita
privata), art. 9 (libertà di coscienza), art. 14 (divieto di
discriminazione).