Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 19 gennaio 2007, n.116

L’art. 3 del DM. n. 146 del 18.5.2000 e l’art. 2 del D.M.
27.3.2000, recante norme sulle modalità di integrazione aggiornamento
delle graduatorie permanenti di cui alla legge n. 124/1999,
nell’elencare i requisiti per l’inserimento in graduatoria
chiariscono che si tratta dei medesimi “requisiti richiesti per
partecipare ai soppressi concorsi per soli titoli”. Tali requisiti
sono indicati dal D.L. 6 novembre 1989 n. 357, convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 27 dicembre 1989, n. 417,
il cui art. 2, comma 10, precisa che, per l’ammissione ai concorsi per
soli titoli è richiesto “un servizio di insegnamento negli istituti
e scuole statali di ogni ordine e grado, ivi comprese le istituzioni
scolastiche italiane all’estero, per insegnamenti corrispondenti a
posti di ruolo, svolti sulla base del titolo di studio richiesto per
l’accesso ai ruoli, nonché per insegnamenti relativi a classi di
concorso che sia stato prestato, per almeno trecentosessanta giorni,
anche non continuativi, nel triennio precedente”. E dunque, è
proprio il dato testuale dei DD.MM. del 2000 (ripreso, poi, dalla
tabella di valutazione dei titoli) ad evidenziare, attraverso il
richiamo ai soppressi concorsi per soli titoli, come l’insegnamento
della religione cattolica, in quanto non riconducibile ad un ruolo
ordinario né ad una classe di concorso, non possa essere valutato non
solo ai fini dell’attribuzione del punteggio corrispondente, ma
neppure ai fini dell’individuazione della fascia di inserimento. La
peculiarità dell’insegnamento della religione trova conferma nella
successiva evoluzione normativa, ove si consideri che solo con la
legge 18 luglio 2003, n. 186, sono state dettate apposite norme sullo
stato giuridico di detti docenti, prevedendo l’istituzione di
dotazioni di organico a livello regionale ed uno speciale concorso
riservato per titoli ed esami per la prima immissione in ruolo.

Sentenza 24 febbraio 2003, n.2803

L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali è
consentito esclusivamente agli insegnanti riconosciuti idonei
dall’autorità ecclesiastica, nominati dall’autorità scolastica
d’intesa con essa (art. 9, comma 2, dell’Accordo di revisione del
Concordato lateranense, ratificato con legge n. 121 del 1985, e punto
5 del protocollo addizionale), con incarico annuale, che si intende
confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti;
nel regime contrattuale, di diritto privato, del relativo rapporto di
lavoro (d.lg. n. 165 del 2001), la sopravvenuta revoca dell’idoneità
all’insegnamento comporta l’impossibilità giuridica della prestazione
e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 1463 c.c.,
in quanto, in considerazione del particolare “status” di questi
insegnanti – reclutati secondo un sistema sottratto alla disciplina
dell’art. 35, d.lg. n. 165 del 2001 – ad essi non possono essere
attribuiti compiti diversi da quello dell’insegnamento della
religione. Pertanto, la risoluzione del rapporto di lavoro determinata
dalla revoca da parte dell’autorità ecclesiastica dell’idoneità
all’insegnamento della religione non configura un caso di
licenziamento, neppure se tale revoca sia stata disposta in quanto
l’insegnante è nubile ed in stato di gravidanza, e, conseguentemente,
a detta fattispecie non è applicabile l’art. 2, legge n. 1204 del
1971, in tema di tutela delle lavoratrici madri.
Risulta, inoltre, manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale – sollevata in riferimento agli art. 3, 4,
7, 35 e 97 cost. – degli art. 5, comma 1, e 6, legge n. 824 del 1930,
della legge n. 121 del 1985, laddove dà esecuzione all’art. 9, numero
2, dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, e dell’art.
309, comma 2, d.lg. n. 297 del 1994, nella parte in cui, prevedendo
che la nomina degli insegnanti di religione deve essere effettuata in
favore di coloro che siano riconosciuti idonei dall’autorità
ecclesiastica, designati d’intesa con essa dall’autorità scolastica,
con incarico annuale, che si intende confermato qualora permangano le
condizioni ed i requisiti prescritti, fanno sì che la sopravvenuta
revoca dell’idoneità all’insegnamento determini l’impossibilità
giuridica della prestazione e la risoluzione del rapporto di lavoro ex
art. 1463 c.c., integrando in tal modo una fattispecie non
riconducibile al licenziamento, neppure qualora detta revoca sia
disposta per essere l’insegnante nubile ed in stato di gravidanza, con
conseguente inapplicabilità dell’art. 2, legge n. 1204 del 1971, in
tema di tutela delle lavoratrici madri.

Sentenza 14 novembre 2002, n.574

Il controllo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle
decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è
circoscritto ai motivi inerenti alla giurisdizione, ossia ai vizi
concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato
rispetto dei limiti esterni della giurisdizione del giudice
amministrativo, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio
della funzione giurisdizionale, cui attengono gli errori in iudicando,
giacché detti errori esorbitano dai confini dell’astratta valutazione
di sussistenza degli indici definitori della materia ed attengono
all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla
legge al giudice amministrativo, investendo quindi l’accertamento
della fondatezza o meno della domanda. (Nella specie – chiamato a
giudicare della legittimità del diniego di conferma, da parte del
preside di istituto scolastico, di un insegnante di religione a
seguito della revoca della dichiarazione di idoneità da parte
dell’ordinario diocesano e del conferimento dell’incarico ad altro
insegnante, in un caso nel quale l’ordinario diocesano aveva,
contestualmente alla revoca, riconosciuto detta idoneità al primo
insegnante per altro istituto scolastico – il Consiglio di Stato aveva
annullato l’atto impugnato, ritenendo la dichiarazione di idoneità e
di revoca da parte del vescovo atto endoprocedimentale finalizzato al
provvedimento finale, in quanto tale suscettibile di valutazione sotto
il profilo della conformità ai criteri di ragionevolezza e di non
arbitrarietà; le S.U., investite del ricorso dell’istituto
scolastico, lo hanno dichiarato inammissibile, in quanto risolventesi
in una non consentita prospettazione di “errores in iudicando”).

Ordinanza 10 maggio 2002, n.178

È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 97 cost., la
q.l.c. dell’art. 2 comma 4 l. 3 maggio 1999 n. 124, il quale, ai fini
della maturazione del prescritto periodo di insegnamento occorrente
per l’ammissione alla sessione riservata per il conseguimento
dell’idoneità all’insegnamento nella scuola elementare, prende in
considerazione il solo servizio di insegnamento prestato nelle scuole
statali ovvero negli istituti e scuole secondarie legalmente
riconosciuti o pareggiati, ovvero nelle scuole materne autorizzate e
nelle scuole elementari parificate, senza menzionare le scuole
elementari autorizzate, in quanto non può considerarsi irragionevole,
nè contraria al buon andamento dell’amministrazione, la scelta del
legislatore di valutare diversamente il servizio effettuato dai
docenti presso le scuole elementari parificate rispetto a quello reso
nelle scuole elementari autorizzate, atteso il differente regime
giuridico delle due categorie di istituti, solo le scuole elementari
parificate essendo rette da un regime concessorio che le assimila ad
ogni effetto legale alle scuole elementari statali.