Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 15 marzo 2002, n.3793

Nell’ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità è
attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicchè è
esclusivamente decisivo l’elemento biologico e, non occorrendo anche
una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può
attribuirsi al «disvolere» del presunto padre, una diversa
interpretazione ponendosi in contrasto con l’art. 30 della
Costituzione, fondato sul principio della responsabilità che
necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente
procreativo. In relazione all’art. 269 c.c., che attribuisce la
paternità naturale in base al mero dato biologico, senza alcun
riguardo alla volontà contraria alla procreazione del presunto padre,
è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 cost., in ragione
della disparità di trattamento che ne risulterebbe in danno
dell’uomo rispetto alla donna, alla quale la legge 22 maggio 1978 n.
194 attribuisce la responsabilità esclusiva di interrompere la
gravidanza ove ne ricorrano le condizioni giustificative, e ciò in
quanto le situazioni poste a confronto non sono comparabili,
l’interesse della donna all’interruzione della gravidanza non
potendo essere assimilato all’interesse di chi, rispetto alla
avvenuta nascita del figlio fuori del matrimonio, pretenda di
sottrarsi, negando la propria volontà diretta alla procreazione, alla
responsabilità di genitore, in contrasto con la tutela che la
costituzione, all’art. 30, riconosce alla filiazione naturale.
L’interesse del figlio nato fuori del matrimonio all’accertamento
della paternità naturale non è escluso dall’assenza di
«affectio» da parte del presunto padre nè dalla dichiarazione di
costui convenuto con l’azione di dichiarazione giudiziale ex art.
269 c.c., di non voler adempiere in ogni caso ai doveri morali
inerenti alla potestà di genitore.

Ordinanza 03 maggio 2004

Il legislatore, all’esito di un dibattito acceso ed approfondito
protrattosi per alcuni anni, ha scelto che la legge sulla procreazione
assistita si limiti a porre rimedio alle malattie – note e ignote –
che in qualsiasi modo producono la sterilità di una coppia,
consentendo a quest’ultima di avere figli, ma di averli in
condizioni analoghe a quelle che hanno, per natura, le coppie fertili.
Non è consentita, cioè, la possibilità di selezionare i nascituri
in sani e malati, eliminando questi ultimi embrioni. Tale scelta
appare coerente con i molti valori che si è inteso tutelare con la
legge in questione e non può ritenersi, in alcun modo, in contrasto
con i precetti costituzionali; in particolare, sono da considerarsi,
al riguardo, manifestamente infondate le questioni di legittimità
sollevate in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della nostra
Costituzione.

Decreto 05 giugno 1995

Lo stato di gravidanza della minore non può costituire da solo grave
motivo per l’autorizzazione al matrimonio ex. art. 84, 2º comma
cod. civ., se non è accompagnato da una sufficiente maturità e
indipendenza della minore e dall’esistenza in atto di valide
prospettiva di formazione di un’autonoma famiglia.