Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 10 luglio 1999, n.7276

La pretesa di far valere agli effetti civili il provvedimento di
dispensa per matrimonio rato e non consumato, con la conseguente
annotazione nei registri dello Stato civile non può più essere
positivamente accolta dopo la sentenza della Corte costituzionale n.
18 del 1982, con la quale sono stati dichiarati illegittimi l’art. 1
l. 27 maggio 1929 n. 810 e l’art. 17 l. 27 maggio 1929 n. 847, nella
parte in cui tali norme prevedono che la Corte d’appello possa rendere
esecutivo tale provvedimento . Pertanto essendo venute meno le norme
che davano rilevanza nell’ordinamento statale a detta dispensa
ecclesiastica, la relativa domanda è assolutamente improponibile; nè
possono essere considerate rilevanti in senso contrario le modifiche
al Concordato lateranense, che non contengono alcun riferimento
all’esecutività agli effetti civili dei suddetti provvedimenti di
dispensa, nè la nuova disciplina stabilita dalla legge 218 del 1995
di riforma del diritto internazionale privato, in quanto contiene una
previsione di salvaguardia per l’applicazione delle convenzioni
internazionali in vigore per l’Italia (nella specie, la S.C.,
nell’affermare il suddetto principio di diritto, ha cassato la
pronuncia della Corte d’appello che, ritenendo che il provvedimento di
dispensa fosse assimilabile ad una sentenza straniera, aveva accolto
la domanda di delibazione).

Sentenza 28 gennaio 2005, n.1822

L’esecuzione nell’ordinamento italiano delle sentenze del tribunale
ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario
per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo
nell’ordine pubblico, se tale esclusione è rimasta nella sfera
psichica del suo autore e non sia stata manifestata, oppure non sia
stata conosciuta o conoscibile dall’altro coniuge. In tal caso infatti
si verifica un contrasto con il principio inderogabile della tutela
della buona fede e dell’affidamento incolpevole, che è tuttavia
ricollegato ad un valore individuale che appartiene alla sfera di
disponibilità del soggetto ed è preordinato a tutelare questo valore
contro gli ingiusti attacchi esterni. Pertanto, al titolare di tale
diritto va riconosciuto anche il conseguente diritto di scegliere la
non conservazione del rapporto viziato per fatto dell’altra parte, in
questo caso non sussiste ostacolo alla delibazione della sentenza solo
nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il
vizio del consenso dell’altro coniuge chieda egli stesso l’esecuzione
alla Corte d’appello.

Sentenza 20 luglio 1988, n.4700

La delibazione delle sentenze del tribunale ecclesiastico dichiarativa
della nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale
di uno dei bona matrimonii, manifestata all’altro coniuge, deve
riteenrsi possibile, nella disciplina di cui agli art. 1 della l. 27
maggio 1929 n. 810 e 17 della l. 27 maggio 1929 n. 847 (nel testo
risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18
del 1982), anche se detta nullità sia stata dichiarata su domanda
proposta decorso più di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il
verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla
celebrazione stessa, a differenza di quanto affermato dall’art. 123
comma 2 c.c. in tema d’impugnazione del matrimonio per simulazione,
posto che entrambe tali norme, pur avendo carattere imperativo, non
configurano espressione di principi e regole fondamentali con le quali
la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del
matrimonio, non costituendo eprtando contrarietà con l’ordine
pubblico italiano.

Sentenza 13 febbraio 1993, n.1824

Con l’accordo del 18 febbraio 1984, reso esecutivo con Legge n.121 del
1985, è stata abrogata la riserva di giurisdizione a favore dei
tribunali ecclesiastici in tema di nullità del matrimonio. Pertanto,
a seguito di tale modifica, i tribunali ecclesiastici non sono più
l’unico organo competente a giudicare su tale materia. Anche il
giudice italiano, in quanto preventivamente adito, può così
pronunciarsi sulla domanda di nullità di un matrimonio concordatario.

Sentenza 16 novembre 1999, n.12671

Per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato dell’11 febbraio
1929 con la Santa Sede, stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 (e reso
esecutivo con legge 25 marzo 1985 n. 121), deve ritenersi abrogata la
riserva di giurisdizione, a favore dei tribunali ecclesiastici, sulle
cause di nullità dei matrimoni concordatari, già prevista dall’art.
34 del suddetto Concordato, poiché l’art. 13 dell’Accordo di
revisione ha disposto l’abrogazione delle precedenti norme
concordatarie non riprodotte nel proprio testo ed in quest’ultimo non
v’è più alcuna disposizione che preveda la riserva, senza, peraltro,
che tale conclusione possa essere superata dalla opposta
interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 421
del 1993. Il venir meno della riserva di giurisdizione ha determinato
il sorgere del concorso della giurisdizione italiana e di quella
ecclesiastica sulle controversie inerenti alla nullità del matrimonio
concordatario. Tale concorso deve essere risolto secondo il criterio
della prevenzione, il quale, tuttavia, con riferimento ad una
situazione di vigenza dell’art. 3 del cod. proc. civ. del 1942 (e di
inapplicabilità della norma dell’art. 7 della legge n. 218 del 1995,
nonché dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre
1968), non deve essere intesa alla stregua dell’art. 39 cod.proc.civ.,
bensì (oltre che secondo la norma dell’art. 797 n. 5) secondo la
norma dell’art. 797 n. 6 cod.proc.civ., richiamata dall’art. 8, n. 2,
lettera c) dell’Accordo di revisione, di modo che l’instaurazione
avanti al giudice italiano di un giudizio avente il medesimo oggetto
rispetto alla sentenza ecclesiastica sulla nullità preclude la
favorevole delibazione di quest’ultima ove detto giudizio sia stato
introdotto prima del passaggio in giudicato di detta sentenza. A
seguito dell’abrogazione della riserva di giurisdizione esclusiva
ecclesiastica sulle controversie relative alla nullità del matrimonio
concordatario, per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato
del 18 febbraio 1984, reso esecutivo in Italia con legge n. 121 del
1985, l’insorgenza del concorso fra la giurisdizione italiana e quella
ecclesiastica e la conseguente applicazione, nella vigenza dell’art. 3
cod. proc. civ., delle norme dell’art. 797 n. 5 e n. 6 del cod. proc.
civ., comporta che, nel giudizio di delibazione della sentenza
ecclesiastica dichiarativa della nullità, l’identità o meno
dell’oggetto di tale sentenza rispetto a quello del giudizio pendente
avanti al giudice italiano e relativo all’accertamento negativo della
esistenza degli stessi vizi, che erano stati dedotti a fondamento
della domanda di nullità avanti al giudice ecclesiastico, deve essere
accertata tenendo conto del criterio per cui l’identità di due
giudizi va valutata identificando l’oggetto del giudicato nascente da
ognuno ed accertando se il giudicato destinato a formarsi nell’uno sia
idoneo ad esplicare efficacia preclusiva nell’altro, nonché previa
approfondita indagine sul se l’accertamento della validità o
invalidità di un matrimonio concordatario possa chiedersi al giudice
italiano sulla base del diritto nazionale o solo sulla base del
diritto canonico o sulla base di una disciplina risultante dagli
elementi comuni all’ordinamento nazionale e a quello canonico, non
essendovi comunque ragione per negare l’identità fra l’oggetto del
giudizio di delibazione e quello pendente avanti al giudice italiano,
ove l’accertamento a tale giudice richiesto sulla validità o
invalidità del matrimonio sia basato sulla invocazione delle norme
canoniche (sulla base di tali principi la Suprema Corte ha cassato con
rinvio la sentenza di merito che aveva apoditticamente escluso
l’identità, senza considerare i suddetti criteri e, particolarmente,
senza accertare quale fosse la disciplina sostanziale invocata avanti
al giudice italiano).