Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 novembre 2016, n.48696

Va esclusa l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 567, comma II,
c.p. nel caso di dichiarazione di nascita effettuate ai sensi
dell'art. 15 del D.P.R. 396 del 2000, in ordine a cittadini
italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare
sulla base di certificato redatto delle autorità – nel caso di
specie – ucraine che li indichi come genitori, in conformità
alle norme stabilite dalla legge del luogo.

Sentenza 11 novembre 2014, n.24001

L’ordinamento italiano – per il quale madre è colei che
partorisce (art. 269, terzo comma, c.c.) – contiene all’art. 12,
comma 6 della legge n. 40 del 2004, un espresso divieto, rafforzato da
sanzione penale, della surrogazione di maternità. Tale divieto
è certamente di ordine pubblico, come suggerisce la previsione
della sanzione penale, di regola posta a presidio di beni giuridici
fondamentali. Vengono infatti qui in rilievo la dignità umana –
costituzionalmente tutelata – della gestante e l'istituto
dell'adozione, con il quale la surrogazione di maternità si
pone oggettivamente in conflitto perché soltanto a tale
istituto l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di
genitorialità priva di legami biologici con il nato. In questo
senso, nel caso di specie, sia il certificato di nascita ucraino (sul
quale i genitori basano il rapporto di filiazione con il minore), sia
la stessa legge ucraina sulla maternità surrogata sono contrari
all’ordine pubblico italiano. Al primo, dunque, non può
essere riconosciuta efficacia ai sensi dell’art. 65 della legge
n. 218 del 1995, mentre la seconda non può trovare applicazione
ai sensi dell’art. 16 della medesima legge.

Sentenza 04 novembre 2013, n.24683

Non implica violazione del diritto di professare la propria fede
religiosa, il provvedimento di divieto di partecipazione alle Adunanze
del Regno, emesso nel corso di un giudizio di “affidamento
condiviso” delle figlie minorenni di un padre appartenente ai
Testimoni di Geova, nel caso in cui, all’esito degli
accertamenti svolti a livello comunale, si sia ritenuto che
l’età delle figlie non consentisse loro di
“praticare una scelta confessionale veramente autonoma” e
fosse pertanto inopportuno “uno stravolgimento di credo
religioso” (nel caso di specie, "cattolico”).

Ordinanza 29 marzo 2013

I criteri enunciati dalla Grande Camera, pur all’interno di una
pronuncia di rigetto (v. _Affaire S.H. et Autres c. Autriche
[https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=6016]_),
costituiscono ineludibile criterio interpretativo per il Giudice delle
leggi nazionali al fine di sindacare la corrispondenza della norma
impugnata ai valori fondamentali della persona “convenzionalmente”
tutelati, come richiamati nella Carta costituzionale italiana. La
Grande Camera riconosce, infatti, certamente al Legislatore nazionale
un margine di discrezionalità nelle materie eticamente sensibili,
tuttavia l’autonomia riconosciuta è dalla medesima definita
“limitata” in tutti i casi in cui debba essere regolato, come in
quello di specie, un aspetto importante dell’esistenza e della
identità del cittadino. In questo senso, una interpretazione
convenzionalmente orientata dei principi costituzionali in esame non
può che parametrare il limite in discussione ai valori di conoscenza
scientifica e condivisa sensibilità sociale esistenti sul punto, che
non appaiono eludibili facendo ricorso allo schermo della
discrezionalità legislativa. In base a tale lettura il Collegio
solleva, pertanto, questione di legittimità in riferimento all’art.
4, comma 3, all’art. 9, commi 1 e 3 limitatamente alle parole “in
violazione dell’art. 4, comma 3” e all’art. 12, comma 1 della
legge n. 40 del 2004 per contrasto con gli artt. 117, 2, 3, 29, 31,
32, commi 1 e 2 della Costituzione, nella parte in cui impongono il
divieto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo e
prevedono sanzioni nei confronti delle strutture che dovessero
praticarla.

Sentenza 11 gennaio 2013, n.6

E’ inammissibile il ricorso del padre che, in sede di impugnazione
della sentenza di affidamento esclusivo del minore alla madre, affermi
il mancato approfondimento – da parte del Tribunale di merito – in
ordine al fatto se la famiglia affidataria del minore, composta da due
donne legate da una relazione omosessuale, fosse idonea sotto il
profilo educativo a garantire l’equilibrato sviluppo del figlio
“in relazione ai diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio ai sensi dell’art. 29 della Costituzione” e
al diritto del minore ad essere educato “secondo i principi
religiosi di entrambi i genitori” (essendo il padre musulmano). Nel
caso di specie, infatti, il ricorrente si è limitato – a giudizio
della Corte adita – a fornire una sintesi del motivo di gravame in
questione, dalla quale non risulta tuttavia alcuna specificazione
circa le concrete ripercussioni negative per la crescita del minore
derivanti da tale ambiente familiare. In tale modo, dunque, si dà per
scontato – afferma la Suprema Corte – ciò che invece è da
dimostrare, ossia la dannosità di quel particolare contesto per la
crescita e lo sviluppo del bambino.

Legge regionale 16 febbraio 2010, n.13

L.R. 16 febbraio 2010 n. 1: "Disciplina dei servizi e degli interventi a favore della famiglia". TITOLO I Principi, finalità, strumenti Art. 1 Principi. 1. La Regione Umbria riconosce la famiglia quale nucleo fondante della società, secondo quanto previsto dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo, dai Trattati internazionali in materia, dalla Costituzione, dallo Statuto regionale. 2. […]