Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Codice civile 19 ottobre 1994, n.16603

Legge 19 ottobre 1994, n. 16603: “Codigo Civil”. TÍTULO PRELIMINAR (Omissis) 17. Cuando el sentido de la ley es claro, no se desatenderá su tenor literal, a pretexto de consultar su espíritu. Pero bien se puede, para interpretar una expresión oscura de la ley, recurrir a su intención o espíritu, claramente manifestados en ella misma […]

Legge 28 dicembre 2004, n.9

Comunidad Autónoma de Castilla y León. Ley n. 9/2004 de 28 de diciembre, de medidas económicas, fiscales y administrativas. (BOE n. 21 de 25/1/2005) (Omissis) Artículo 3. Deducciones por nacimiento o adopción de hijos. 1. Por el nacimiento o adopción, durante el período impositivo, de hijos que tengan derecho a la aplicación del «mínimo por […]

Sentenza 07 novembre 2003

In tema di reati contro la famiglia, allorché le parti provengono per
nazionalità e quindi cultura, religione e formazione, da contesti
istituzionali e sociali del tutto diversi da quelli dello Stato
ospite, alla cui giurisdizione sono sottoposti, è opportuno che il
giudice, per la completezza della conoscenza degli elementi oggettivi
e soggettivi che sono alla base della sua decisione, si interroghi
sull’influenza che quei dati originari possano avere avuto sul fatto
commesso in Italia. In particolare, il diritto di famiglia marocchino
prevede che il matrimonio – secondo quanto stabilito dalla religione
islamica – possa essere sciolto in due modi: tramite il ripudio
(c.d. talaq) o il divorzio; mentre il divorzio è un diritto che
spetta alla donna, ma che è dalla legge circoscritto a soli cinque
gravi casi, per contro, il talaq consente al marito di ripudiare la
moglie senza necessità di addurre alcun motivo a sostegno di tale
pretesa. Tuttavia, considerato che lo scioglimento del matrimonio
concerne i rapporti tra i coniugi e non determina in alcun modo la
cessazione dei doveri di assistenza dei genitori nei confronti dei
figli, nel caso di specie, posto che l’imputato aveva avuto concreta
esperienza del fatto che, per le leggi dello Stato ospite, in quanto
padre era titolare del diritto/dovere di provvedere a fornire al
figlio minore i necessari mezzi di sussistenza (secondo quanto
disposto, al riguardo, dal Tribunale dei minorenni) e che lo stesso
era conscio, per propria cultura e religione (e dunque diritto) di
origine, di dovere provvedere al figlio fino all’età puberale, non
emergono elementi di meritevolezza tali da fondare la legittimità
della concessione delle attenuanti generiche ed il connesso effetto
premiale proprio della riduzione fino ad un terzo della pena da
applicarsi.

Sentenza 05 febbraio 1997

La professione di una fede religiosa non condivisa o apprezzata dal
coniuge, non puo`, di per se´, costituire motivo di addebito della
separazione, non potendosi in alcun modo rimproverare ad un soggetto
di esercitare un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di
libertà religiosa. Tuttavia, quando la professione di un determinato
credo – nel caso di specie quello dettato dal movimento Lubavitch –
comporti, per l’aspetto particolarmente totalizzante, integralista e
di intransigenza assunto dal singolo adepto, il venir meno a
fondamentali doveri nell’ambito del rapporto con il coniuge e sia,
soprattutto, tale da influire negativamente sull’educazione della
prole, tale comportamento non puo` non assumere rilevanza ai sensi e
per gli effetti dell’art. 151 c.c., con conseguente addebito del
relativo provvedimento di separazione.

Protocollo addizionale 22 novembre 1984, n.7

Consiglio d’Europa. Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 22 novembre 1984. (omissis) 5. – I coniugi godranno dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civilistico tra loro e nelle loro relazioni con i loro figli, in caso di matrimonio, durante il matrimonio e […]

Sentenza 30 ottobre 1994, n.8334

Il libero sviluppo della personalità è il sostegno ed il fondamento,
dal punto di vista costituzionale, dell’ordine politico e della pace
sociale. A tal fine assume un ruolo determinante la formazione
educativa e culturale dell’individuo, che, in una società
democratica, si fonda sul principio della libertà di insegnamento,
orientata alla formazione dei cittadini secondo uno stile di vita
improntato alla tolleranza e al pacifico confronto tra le diverse
“famiglie” culturali. Nell’ambito di una società plurale esistono,
tuttavia, anche altri valori, come la libertà ideologica e di
coscienza, che consentono ai genitori di scegliere per i figli la
formazione religiosa e morale più conforme alle loro convinzioni. I
giudici non possono entrare nel santuario delle credenze personali, a
meno che i comportamenti esterni, che hanno la loro origine in una
determinata ideologia, incidano negativamente sopra beni giuridici
protetti. Anche in tal caso, per altro, il diritto penale rappresenta
l’ultimo strumento cui fare ricorso, quando si determina un danno
effettivo e reale. In questo quadro, il delitto di lesione
dell’integrità psichica di un minore è sicuramente da considerare
come un delitto di danno e non di pericolo. Pertanto,
l’assoggettamento dei figli, da parte dei loro genitori, ad una
educazione impartita in centri di insegnamento “domestici” e
strettamente confessionali assimilabili nel regime ad un internato di
un collegio religioso e nello stile ad una scuola premilitare
prussiana, pur comportando il rischio per l’avvenire di seri
problemi di inserimento e di integrazione dei minori in un contesto
sociale aperto e competitivo, non integra né l’elemento oggettivo,
né quello soggettivo del tipo di reato predetto. Al fine di stabilire
se un centro di insegnamento è contrario alla legge bisogna
considerare che le previsioni del legislatore in materia educativa
mirano ad un bilanciamento tra la libertà d’insegnare, il diritto
dei genitori di impartire ai figli una formazione religiosa e morale
conforme alle loro convinzioni, e la libertà di istituire centri
scolastici. La possibilità di istituire centri scolastici ed
educativi anche non omologabili pubblicamente, organizzati alla
stregua di una “home school” anglosassone o di un collegio religioso
in regime di internato o nello stile delle scuole premilitari
prussiane, esclude – purché siano rispettati i principi
costituzionali posti a presidio della dignità della persona, dei
diritti inviolabili che le sono inerenti e del libero sviluppo della
personalità dei soggetti – che i modelli formativi sviluppati
all’interno di un nucleo familiare tradizionale, o in un ambito
chiuso parafamiliare possano concretare il fatto tipico del reato in
esame e cioè la costituzione di centri scolastici contrari alla
legge. L’intervento del diritto penale si giustifica, invece, nel
caso in cui siano impartiti insegnamenti volti a diffondere idee
contrarie alla tolleranza ed alla pacifica convivenza con apologia
della violenza o della discriminazione per motivi razziali, religiosi
o xenofobi, ovvero mirati alla prostituzione o corruzione dei minori.
Nel caso di specie, la formazione impartita, pur esaltando lo spirito
di disciplina e metodi severi, non consta che abbia comportato un
indottrinamento meritevole di sanzione penale, ma, semmai, scelte
educative opinabili, il cui possibile pregiudizio per i minori
giustificherebbe, al più, interventi di competenza del giudice
civile. La segretezza o clandestinità che caratterizza le condotte
degli imputati non possono da sole concretizzare il fatto tipico del
reato di associazione per delinquere, una volta escluso che gli stessi
si siano proposti fini delittuosi, non essendosi ravvisati nei loro
comportamenti gli estremi di delitti di lesioni all’integrità
psichica o di costituzione di centri scolastici contrari alla legge.