Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 29 luglio 2008, n.308

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
155-quater, primo comma, del codice civile, introdotto dall’art. 1,
comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia
di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), anche
in combinato disposto con l’art. 4 della stessa legge, nella parte in
cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione della casa
familiare nel caso in cui l’assegnatario conviva more uxorio o
contragga nuovo matrimonio. Dall’attuale contesto normativo e
giurisprudenziale emerge, infatti, il rilievo che non solo
l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della
stessa, è subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una
valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della
prole. Ne deriva che l’art. 155-quater cod. civ., ove interpretato,
sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio
o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa sono circostanze
idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione
dell’assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole,
per i quale l’istituto è sorto. La coerenza della disciplina e la sua
costituzionalità possono essere recuperate invece ove la normativa
sia interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non
venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta
(instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che
la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di
conformità all’interesse del minore.

Decreto 27 maggio 2008

L’affidamento esclusivo costituisce – nello spirito della nuova
legislazione (legge n. 54/2006) – l’eccezione alla regola generale
individuata nell’affido c.d. condiviso. La riforma, infatti,
ribadisce e amplia il principio della bigenitorialità, intesa quale
diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile con entrambi i
genitori, introdotto già da tempo nel nostro ordinamento con la l. n.
176/1991 di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di
New York del 20.11.1989 sui diritti dei minori. Ciò non toglie,
tuttavia, che il legislatore abbia mantenuto, quale valvola di
sicurezza del sistema, l’ipotesi dell’affidamento esclusivo qualora
ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del
minore.

Sentenza 09 ottobre 2007, n.1448/04

Il diritto dei genitori di assicurare l’educazione e
l’insegnamento ai figli secondo le loro convinzioni religiose o
filosofiche, ex art. 2 del 1° Protocollo addizionale alla CEDU,
risulta violato quando non è prevista una valida procedura di esonero
dall’insegnamento obbligatorio di etica e cultura religiosa nelle
scuole pubbliche. Nel caso di specie – poiché detto insegnamento
riguarda prevalentemente la cultura dell’Islam sunnita e non può
dirsi imparziale e rispettoso del pluralismo, valore centrale per la
scuola e l’educazione pubbliche – la Corte ritiene che debba essere
assicurato il diritto ad essere esonerati dalla partecipazione alle
lezioni di tale materia. Diritto che non è stato rispettato, poiché
la normativa turca consente di non avvalersi dell’insegnamento in
questione solo a due categorie di studenti di nazionalità turca
(coloro i cui genitori appartengano alla religione cristiana o
ebraica); inoltre, obbligando di fatto i genitori a rivelare le
proprie convinzioni religiose o filosofiche, essa non rispetta la
libertà religiosa.

Sentenza 04 marzo 2008, n.787/07

Il diritto all’obiezione di coscienza è compreso nel diritto di
libertà religiosa – sancito dall’art. 16 della Costituzione spagnola
– e può essere esercitato anche qualora non venga disciplinato
espressamente dalla legge. Nel caso di specie, è stato riconosciuto
legittimo l’esercizio dell’obiezione di coscienza dei genitori nei
confronti della partecipazione dei figli alle lezioni della materia
scolastica “Educación para la Ciudadanía y Derechos Humanos”.
Quest’ultima, infatti, riguarda contenuti collegati con l’etica ed i
valori morali, e può dunque risultare in contrasto con le convinzioni
religiose dei genitori e con il diritto ad educare i figli
conformemente ad esse, come riconosciuto sia dalla Costituzione
spagnola (art. 27.3), sia dalla CEDU (art. 2 del 1° protocollo
addizionale).

Sentenza 04 aprile 2007, n.14102

Nel nostro ordinamento il delitto di sottrazione di persona incapace,
di cui all’art. 574 c.p., è configurabile anche da parte di un
genitore nei confronti dell’altro, dal momento che entrambi sono
contitolari dei poteri-doveri disciplinati dall’art. 316 c.c.. In
particolare, tale norma punisce, con la stessa pena edittale, tanto la
“sottrazione” del minore degli anni quattordici alla potestà dei
genitori, quanto una “specie” della sottrazione stessa e cioè la
“ritenzione” del minore contro la volontà dei genitori, che si
realizza con il ritenere indebitamente il minore che si trova nella
disponibilità dell’agente per una causa lecita. Alla luce di queste
premesse normative, la condotta di un genitore che faccia ritorno in
Italia, lasciando la figlia minore nel proprio paese di origine, al
fine di educarla secondo i principi dell’Islam, impone al giudice di
merito di soffermarsi sui profili soggettivi di tale condotta, per
comprendere se questa scelta possa essere considerata espressione di
un progetto di globale “sottrazione” della minore alla cura ed alla
vigilanza dell’altro genitore. Questa sorta di unilaterale
“appropriazione” della figlia, appare infatti culturalmente
inconcepibile, oltre che penalmente illecita, nel quadro del nostro
ordinamento che ai genitori assegna un potere-dovere di cura
complessiva dei propri figli e non una unilaterale ed illimitata
disponibilità del loro destino. Tale appropriazione, infatti, risulta
lesiva tanto dei diritti della madre (che non può vedere annullato il
suo naturale rapporto affettivo con la propria figlia e, come
contitolare della potestà, non può essere esclusa dalle decisioni
che la riguardano), quanto del diritto della figlia minore a vivere
secondo indicazioni e determinazioni elaborate di comune accordo da
“entrambi” i genitori, secondo il dettato e con le garanzie di scelte
equilibrate previste, in caso di contrasti tra i genitori, dall’art.
316 c.c..

Sentenza 18 aprile 2007

Ai sensi del “Partial Birth Abortion Ban Act” del 2003 è illecito
l’aborto tardivo, praticato a gravidanza avanzata con un metodo
definito di nascita parziale. Questa tecnica abortiva, infatti, è da
ritenersi inumana e non necessaria per salvaguardare la salute della
donna.

Disegno di legge 16 marzo 2007

Consiglio dei Ministri. Disegno di legge delega: “Modifiche alla disciplina in materia di filiazione” 16 marzo 2007. Art. 1 (Diritti e doveri dei figli) 1. La intitolazione del titolo nono del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: “Dei diritti e doveri dei figli e delle relazioni tra genitori e figli”. 2. L’articolo […]

Legge regionale 18 febbraio 2005

Legge regionale 18 febbraio 2005, N.1: “Pacchetto famiglia e previdenza sociale” (da: “Bollettino Ufficiale Regione Trentino Alto Adige” del 21 febbraio 2005 N. 7, Straordinario) ARTICOLO 1 (Copertura previdenziale dei periodi di assistenza ai figli) 1. Ai soggetti autorizzati ad effettuare i versamenti volontari nelle gestioni dei/delle lavoratori/trici dipendenti, dei/delle lavoratori/trici autonomi/e o nella gestione […]

Sentenza 27 giugno 2006

Non contrastano con l’esercizio dei diritti umani fondamentali, ed in
particolare con il diritto al rispetto della vita familiare, le
deroghe che la direttiva comunitaria 2003/86/CE prevede in tema di
ricongiungimento familiare, in favore degli Stati membri, riguardanti
tempi e limiti di età riferiti alle richieste di ingresso e di
soggiorno dei figli minori dei cittadini dei Paesi tezi legalmente
residenti nella Comunità europea. Tali deroghe offrono agli Stati
membri sia la possibilità di esaminare le condizioni per
l’integrazione, nei casi in cui si tratti di minorenni di età
superiore a 12 anni che raggiungono in modo indipendente il resto
della loro famiglia (art. 4, n. 1, ult. comma); che quella di
concedere la presentazione della domanda di ricongiungimento per i
soli minori che non abbiano ancora compiuto il quindicesimo anno di
età, secondo quanto previsto dalla rispettiva legislazione vigente al
momento dell’attuazione della direttiva e, in caso contrario, di
autorizzare l’ingresso e il soggiorno per motivi diversi dal
ricongiungimento familiare (art. 4, n. 6). Al riguardo occorre,
tuttavia, rilevare come la possibilità di limitare il diritto al
ricongiungimento familiare per minori di età superiore a 12 anni è
volta a tenere conto della capacità di integrazione dei minori di
più giovane età e garantisce che essi acquisiscano l’educazione e le
conoscenze linguistiche necessarie. Il legislatore comuniario ha
infatti ritenuto che, al di là dell’età dei 12 anni, l’obiettivo
dell’integrazione non possa essere raggiunto in misura altrettanto
agevole ed ha pertanto previsto per lo Stato membro interessato la
facoltà di prendere in considerazione un livello minimo di capacità
di integrazione nell’ambito della decisione in merito
all’autorizzazione, all’ingresso ed al soggiorno in base alla
direttiva. Quanto al dettato dell’art. 4, n. 6, non risulta che la
scelta dell’età di 15 anni costiutisca un criterio contrario al
principio di non disciminazione in funzione dell’età, nè può essere
ritenuto in contrasto con l’obbligo di prendere in considerazione
l’interesse superiore del minore.