Fecondazione eterologa
Sentenza 17 novembre 2016, n.48696
Va esclusa l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 567, comma II,
c.p. nel caso di dichiarazione di nascita effettuate ai sensi
dell'art. 15 del D.P.R. 396 del 2000, in ordine a cittadini
italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare
sulla base di certificato redatto delle autorità – nel caso di
specie – ucraine che li indichi come genitori, in conformità
alle norme stabilite dalla legge del luogo.
Sentenza 16 ottobre 2015
Non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale
contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero
che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona
non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello
stesso sesso, una volta valutato in concreto che il
riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di
tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto,
corrispondono all’interesse superiore del minore
al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue
le figure genitoriali e al mantenimento delle positive
relazioni affettive ed educative che con loro si sono
consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e
del provvedimento di adozione; ne consegue che tale provvedimento
è suscettibile di trascrizione nei registri dello Stato
Civile.
Corte Appello Milano, sez. Persone, Minori,
Famiglia, 16 ottobre 2015 (Pres. Bianca La Monica, est. M.
Cristina Canziani)
Sentenza 28 ottobre 2015, n.2271
Con riferimento alla determinazione regionale di porre a totale carico
degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo
eterologo, diversamente da quanto previsto per la PMA di tipo omologo
– per la quale gli utenti sono tenuti al versamento del solo ticket,
restando in capo alla Regione il costo dell'intervento -, le
censure contenute nel ricorso sono fondate. Anzitutto non assume
rilievo determinante la circostanza che la PMA, sia omologa che
eterologa, non sia ricompresa formalmente nel d.P.C.M. che individua
le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso
che, se l'inserimento della prestazione nei LEA può avere
un effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone
quindi doverosa l'erogazione su tutto il territorio nazionale alle
medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell'elenco non
può determinare l'effetto opposto, considerato che va
verificata in concreto l'appartenenza di una determinata
prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo,
va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e
su tutto il territorio nazionale. A tal proposito appare
opportuno richiamare la sentenza n. 162 del 2014 della Corte
costituzionale che ha evidenziato come "la scelta di [una] coppia
di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale
libertà di autodeterminarsi, libertà che, come [la]
Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso,
è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché
concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le
limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto
assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e
congruamente giustificate dall'impossibilità di tutelare
altrimenti interessi di pari rango". Inoltre la tematica in esame
è altresì riconducibile al "diritto alla salute,
che, secondo la costante giurisprudenza [della] Corte, va inteso
«nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo
anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251
del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e
«la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute
fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione
corrisponde a quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato
di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni
essere umano» (Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New
York il 22 luglio 1946). In relazione a questo profilo, non sono
dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo,
benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un
figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della
coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano
dette tecniche, è, infatti, certo che
l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme
al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo,
possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute
della coppia, nell'accezione che al relativo diritto deve essere
data, secondo quanto sopra esposto. In coerenza con questa
nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che,
«per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio
corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi
leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi
altri interessi costituzionali" (Corte costituzionale, sentenza
n. 162 del 2014).
Trattandosi quindi di prestazione
riconducibile a una pluralità di beni costituzionali –
libertà di autodeterminazione e diritto alla salute – né
il legislatore né, a maggior ragione, l'autorità
amministrativa possono ostacolarne l'esercizio o condizionarne in
via assoluta, la realizzazione, ponendo a carico degli interessati
l'intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e
senza alcun contemperamento con l'eventuale limitatezza delle
risorse finanziarie.
Ordinanza 09 aprile 2015
Sembra condivisibile la censura di disparità di trattamento
sotto il profilo economico tra la PMA omologa e quella eterologa,
stante l’incontestata assunzione a carico del s.s.r. lombardo
– salvo il pagamento di ticket – della prima,
nonché tenuto conto che, da un lato, quanto al diritto alla
salute inteso come comprensivo anche della salute psichica oltre che
fisica, “non sono dirimenti le differenze tra PMA di tipo
omologo ed eterologo” e, dall’altro lato, quanto agli
aspetti normativi ed organizzativi, “l’art. 7 della legge
n. 40 del 2004, il quale offre base giuridica alle Linee guida emanate
dal Ministro della salute, «contenenti l’indicazione delle
procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente
assistita», avendo ad oggetto le direttive che devono essere
emanate per l’esecuzione della disciplina e concernendo il genus
PMA, di cui quella di tipo eterologo costituisce una species,
è, all’evidenza, riferibile anche a questa, come lo sono
altresì gli artt. 10 ed 11, in tema di individuazione delle
strutture autorizzate a praticare la procreazione medicalmente
assistita e di documentazione dei relativi interventi” (cfr.
Corte cost. N. 162/2014).
Linee guida 04 settembre 2014
Sentenza 30 luglio 2014
L'articolo 44, comma 1, lett. d) della legge 4 maggio 1983, n. 184
(e successive modifiche) contempla l'adozione in "casi
particolari". Esso risponde cioè all'intenzione del
legislatore di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e
le persone che già si prendono cura del minore stesso,
prevedendo la possibilità di adozione con effetti più
limitati rispetto a quella legittimante ma meno rigorosi. Ciò
al fine di realizzare il preminente interesse del minore. Nel caso di
specie, il giudice adito ha pertanto accolto il ricorso per
l'adozione, da parte della convivente della madre biologica, della
figlia di quest'ultima nata con fecondazione eterologa, rilevando
come nessuna limitazione sia prevista espressamente, o possa desumersi
in via interpretativa, con riferimento all'orientamento sessuale
dell'adottante o del genitore dell'adottando, qualora tra di
essi vi sia un rapporto di convivenza.
Sentenza 10 giugno 2014, n.162
La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19
febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la coppia
di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del
ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa
di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili;
dell’art. 9, comma 1, della legge n. 40 del 2004, limitatamente
alle parole «in violazione del divieto di cui all’articolo
4, comma 3»; dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge n. 40 del 2004,
limitatamente alle parole «in violazione del divieto di cui
all’articolo 4, comma 3»; e dell’art. 12, comma 1,
della legge n. 40 del 2004.
Sentenza 11 luglio 2012, n.11644
Il quadro normativo attuale, a seguito dell’introduzione della legge
n. 40 del 2004, per come formulata e per come interpretabile alla luce
delle sempre più incisiva affermazione del principio del favor
veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi, per certi versi
tipica, di disconoscimento della paternità, che si aggiunge a quelle
previste dall’art. 235 c.c., e che si fonda – stante la non piena
assimilabilità dell’inseminazione artificiale alle previsioni di tale
norma – sulla esigenza, sempre più avvertita, di affermare la
primazia del favor veritatis.In questo senso, in tutte le ipotesi non
contemplate dall’art. 9, comma 1 della legge in esame (“qualora si
ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il
coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti
concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della
paternità nei casi previsti dall’art. 235, comma 1, nn. 1 e 2 c.c.,
né l’impugnazione di cui all’art. 263 dello stesso codice”), nelle
quali difetti l’elemento ostativo alla legittimazione costituito dal
consenso preventivo alla fecondazione eterologa, l’azione di
disconoscimento deve ritenersi ammissibile. L’integrazione, nei
termini sopra indicati, delle ipotesi previste dall’art. 235 c.c., non
può infine non raccordarsi, stante l’identità della ratio e,
comunque, per evidenti ragioni sistematiche, alle ipotesi di decadenza
previste dall’art. 244 c.c. con riferimento al momento in cui si sia
acquisita la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione (Nel
caso di specie, il giudice adito respingeva il ricorso del coniuge per
avvenuta decadenza dell’attore dalla proposizione dell’azione di
disconoscimento della paternità per decorso del termine annuale).
Ordinanza 22 maggio 2012, n.150
La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la
questione dell’eventuale contrasto della disposizione interna con la
norme della CEDU va risolta in base al principio in virtù del quale
il giudice comune, al fine di verificarne la sussistenza, deve avere
riguardo alle norme della CEDU, come interpretate dalla Corte di
Strasburgo, «specificamente istituita per dare ad esse
interpretazione e applicazione» (da ultimo, sentenza n. 78 del 2012),
poiché il «contenuto della Convenzione (e degli obblighi che da essa
derivano) è essenzialmente quello che si trae dalla giurisprudenza
che nel corso degli anni essa ha elaborato», occorrendo rispettare
«la sostanza» di tale giurisprudenza, «con un margine di
apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle
peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma
convenzionale è destinata a inserirsi» (_ex plurimis_, sentenze n.
236 del 2011 e n. 317 del 2009), ferma la verifica, spettante al
Giudice delle leggi, della «compatibilità della norma CEDU,
nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato
espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme
della Costituzione» (sentenza n. 349 del 2007; analogamente, tra le
più recenti, sentenze n. 113 e n. 303 del 2011). Nel caso di specie,
la Corte ha pertanto ordinato la restituzione degli atti ai Tribunali
di merito perchè – alla luce della sopravvenuta sentenza della Grande
Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria – i rimettenti
procedano ad un rinnovato esame dei termini delle questioni.
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In OLIR.it
Grande Chambre. Sentenza 3 novembre 2011: AFFAIRE S.H. ET AUTRES c.
AUTRICHE
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