Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 20 marzo 2000

La condotta di invasione arbitraria ai fini dell’art. 633 c.p. deve
essere supportata dall’elemento soggettivo caratterizzato dal dolo
specifico di “occupare o comunque trarre profitto” dal bene
invaso: non è, quindi, dato di confondere i concetti di “invasione
arbitraria” e di “occupazione”, considerati separatamente dal
legislatore e riferiti a due elementi diversi del reato, e cioè
rispettivamente a quello della condotta vietata ed a quello
dell’elemento psicologico. L’occupazione in sé, e cioè il mero
permanere invito domino in un determinato bene, pur ovviamente
rimanendo un comportamento censurabile in sede civile, non rileva ai
fini dell’elemento oggettivo del reato, integrato invece dalla mera
invasione arbitraria. Ne consegue che il reato non ricorre laddove si
sia in presenza di una “occupazione invito domino” da parte di chi
sia già nel possesso del bene o comunque che vi sia acceduto senza
porre in essere la condotta di invasione.
Per l’integrazione del reato di turbamento di funzioni religiose ai
sensi dell’art. 405 c.p., come pure dell’art. 406 c.p., occorre
l’impedimento attivo dell’esercizio concreto di una funzione
religiosa, non bastando il solo fatto dell’invasione di una
basilica, specie se di grandi dimensioni. Si richiede, altresì, ai
fini dell’elemento soggettivo, che l’agente abbia l’intenzione
di cagionare il turbamento.
La norma amministrativa di cui all’art. 26 quarto comma della legge
8 agosto 1977, n. 513 deve ritenersi speciale rispetto a quella di cui
all’art. 633 c.p., perché si riferisce ad una categoria di bene
(alloggi di edilizia residenziale pubblica invece che “terreni o
edifici pubblici o privati”) e ad una condotta (non una generica
invasione arbitraria, ma la più specifica mancanza di autorizzazione
da parte dell’ente gestore del bene) più ristretta di quella
penale.

Sentenza 23 marzo 1993

Gli atti impeditivi di comportamenti tenuti dagli appartenenti alla
setta Ceis non sono punibili a norma dell’art. 194 c.p., posto a
tutela del libero esercizio dei diritti civili riconosciuti della
legge, in connessione con la garanzia costituzionale di libertà
religiosa. Tali comportamenti, oltre ad essere clandestini, sono volti
a costringere a permanere nel gruppo settario, a captare l’interesse
altrui con mezzi pericolosi, fino al cambiamento della personalità,
all’allontanamento da familiari ed amici, all’incitamento della
prostituzione per il lucro dei dirigenti. Essi pertanto, sono
sanzionati penalmente, cosicché gli atti diretti ad impedirli
risultano, al contrario, legittimi in quanto tutelano il soggetto
passivo nell’esercizio della libertà individuale.