Ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico
delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali), mentre la morte del
coniuge per infortunio comporta, in presenza di figli legittimi,
l’attribuzione della rendita al superstite nella misura del cinquanta
per cento ed a ciascuno dei figli nella misura del venti per cento, la
morte per infortunio di colui che non è coniugato ed ha figli
naturali riconosciuti non comporta l’attribuzione di alcuna rendita
per infortunio al genitore superstite, spettando invece ai figli il
venti per cento. E’ vero dunque che i figli, legittimi o naturali
riconosciuti, godono – in caso di infortunio mortale del loro
genitore – della rendita infortunistica nella stessa misura, ma
sussisite tuttavia una disparità di trattamento derivante dal fatto
che solo i figli legittimi, e non anche quelli naturali, possono
godere di quel plus di assistenza che deriva dall’attribuzione al
genitore superstite del cinquanta per cento della rendita. Infatti il
minore, pur trovandosi, ai fini della determinazione della misura
della rendita infortunistica, in una condizione analoga a quella di
chi ha perso entrambi i genitori – non essendo destinatario di alcun
beneficio economico, neppure indiretto, a tali fini, per la
sopravvivenza dell’altro genitore, cui non spetta, in quanto non
coniugato, alcuna rendita – ha diritto solo al venti per cento di
essa, e non anche al quaranta per cento spettante agli orfani di
entrambi i genitori. Pertanto, deve ritenersi costituzionalmente
illegittimo l’art. 85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 1124 del
1965, nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio
mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il
quaranta per cento della rendita, esclude che essa spetti nella stessa
misura anche all’orfano di un solo genitore naturale.