Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 22 gennaio 2015

L’ampiezza del sindacato del giudice statale sui provvedimenti
di espulsione adottati all’interno di un gruppo confessionale si
riduce al vaglio del rispetto dei diritti fondamenali concretamente
offerti e, segnatamente, del diritto di difesa, inteso nel suo nucleo
essenziale di sostanziale possibilità di contraddire
all’interno del procedimento di espulsione. Ciò in
quanto nell’ordinamento giuridico italiano la potestà
sanzionatoria e disciplinare di tali gruppi trova una sua propria
fonte (in luogo di quella comune prevista dal codice civile per gli
enti associativi), da una parte, dal combinato disposto costituzionale
di cui agli artt. 7, I° co. e 8, II° co.; e dall’altra
parte, dalla giurisprudenza della Consulta, che ha ribadito nel tempo
la forza e la cogenza di tali precetti, mettendo a fuoco il ruolo
limite costituito dai “principi supremi”
dell’ordinamento statuale. Ne deriva, quindi, secondo il
Tribunale adito, che l’espulsione del singolo adepto a seguito
dell’esplicarsi di quella autonoma potestà organizzativa,
che comprende l’irrogazione di sanzioni, possa essere sindacata
e dichiarata illegittima unicamente laddove questi riscontri la chiara
ed effettiva lesività in concreto dei diritti fondamentali
della persona garantiti dalla Costituzione (art. 2) –
all’esterno e – all’interno delle formazioni
sociali; ossia quando, sulla base dei documenti e delle allegazioni di
causa offerti allo scrutinio giudiziale, si appalesi l’effettiva
attitudine dell’espulsione a recare un danno ingiusto in spregio
ai beni costituzionalmente presidiati (ad es. con modalità tali
da ledere il prestigio, l’onore e la dignità del soggetto
espulso).

Sentenza 10 ottobre 2008, n.24906

Non integra il concreto rischio di trattamenti personali degradanti la
prospettazione della situazione generale di “sudditanza” delle
donne nel paese di provenienza; una condizione che, certamente
inaccettabile per ogni coscienza civile, è però priva della
necessaria individualità postulata anche dalla Convenzione di Ginevra
28.7.1951 (oltre che dalla CEDU) perché venga integrato il fumus
persecutionis od anche solo perché sia adottata la misura di
protezione temporanea del divieto di respingimento (nel caso di
specie, la ricorrente rileva in particolare di essere stata sottoposta
ad infibulazione nel paese di origine).

Ordinanza 12 febbraio 2008, n.6605

L’istituto dell’espulsione si colloca in un quadro sistematico che,
pur nella tendenziale indivisibilità dei diritti fondamentali, vede
regolati in modo diverso l’ingresso e la permanenza degli stranieri
nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo
o rifugiati, ovvero di c.d. «migranti economici». Ne consegue che,
mentre il pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di
lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche o di
condizioni personali o sociali preclude l’espulsione o il
respingimento dello straniero (art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 286 del
1998), analoga efficacia «paralizzante» è negata, in linea di
principio, alle esigenze che caratterizzano la seconda categoria.

Ordinanza 21 dicembre 2004

Tribunale di Torino. Ordinanza 21 dicembre 2004, “Rischio di persecuzione connesso alle tendenze sessuali e divieto di espulsione di cittadino extracomunitario”. In OLIR: Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile. Sentenza 25 luglio 2007, n. 16417 ORDINANZA A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 24.11.2004; Il ricorrente denuncia l’illegittimità del decreto di espulsione per difetto di […]

Ordinanza 23 novembre 2007, n.397

E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 2, lettera d), del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), «nella parte in cui non estende al padre naturale,
cittadino extracomunitario, il beneficio della sospensione del
provvedimento di espulsione in ipotesi di convivente in stato di
gravidanza ovvero in presenza di prole dall’età infrasemestrale»,
in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della Costituzione (nel
caso di specie, il rimettente ometteva di specificare la cittadinanza
del soggetto ricorrente nel giudizio a quo; elemento quest’ultimo
determinante ai fini dell’individuazione del regime giuridico
applicabile nel caso concreto, atteso che il d.lgs. n. 286 del 1998
− come esplicitamente stabilisce l’art. 1 − si applica solo «ai
cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea»; la
questione è stata ritenuta dunque manifestamente inammissibile per
mancata indicazione di un elemento essenziale della fattispecie).

Sentenza 02 marzo 2007, n.21

L’esercizio del diritto di difesa costituisce una facoltà
dell’incolpato e non può trasformarsi ab extra in imposizione per il
soggetto che liberamente intenda sottrarsi all’iter disciplinare,
rendendosi irreperibile nel corso del procedimento dinanzi agli organi
a ciò deputati.

Ordinanza 22 dicembre 2006, n.444

E’ manifesta infondata della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella
parte in cui prevede che il decreto di espulsione debba essere
eseguito anche nei confronti dello straniero extracomunitario legato
da vincolo affettivo con una donna in stato di gravidanza, in quanto
la previsione – contenuta nella norma suddetta – della temporanea
sospensione del potere di espulsione «delle donne in stato di
gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui
provvedono», estesa, per effetto della sentenza n. 376 del 2000 di
questa Corte, al rispettivo marito convivente, presuppone una certezza
dei rapporti familiari che non è dato riscontrare nel caso di una
relazione di fatto.

Sentenza 10 marzo 2006, n.5220

Nei casi di mancata espulsione di immigrati, in cui venga in rilievo
lo stato coniugale dell’extracomunitario, deve escludersi che possa
darsi efficacia alle unioni non celebrate come matrimonio negli
ordinamenti di appartenenza; occorre, infatti che il divieto di
espulsione si applichi ad un rapporto che di fatto e di diritto possa
qualificarsi come coniugio. In particolare, tal rapporto, coinvolgendo
un cittadino extracomunitario, deve dunque trovare il suo
riconoscimento nell’ordinamento giuridico dello Stato di
appartenenza, così da poter esplicare i suoi effetti in coerenza con
le disposizioni della legge 218/1995 (Nel caso di specie, veniva
annullato il decreto di espulsione di un cittadino rumeno, coniugato
con il rito tradizionale Rom, senza verificare se nello stato estero
di appartenenza tale matrimonio avesse capacità di esplicare effetti
giuridici).