Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 23 aprile 2004, n.7725

L’art. 23 bis del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29
febbraio 1980 n. 33, stabilisce che agli istituti, enti, ospedali che
erogano prestazioni del servizio sanitario nazionale, anche in regime
convenzionale, si applica l’art. 7 della legge 11.6.1974 n. 252, il
quale prevede l’esonero dal pagamento dei contributi dovuti alla
Cassa Unica Assegni Familiari, ove detti enti non abbiano fine di
lucro ed assicurino un trattamento per carichi di famiglia non
inferiore a quello previsto per gli assegni familiari dal D.P.R. n.
797/1955. Tale disposizione deve ritenersi operante anche
relativamente agli enti ecclesiastici, quali case di cura gestite da
religiosi. La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c.,
va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere
imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia
ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a
conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo
giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. La decisione del giudice
di merito impugnata, tuttavia, ha privilegiato lo scopo dell’Ente
(citando lo statuto dell’Ente) anziché le caratteristiche
imprenditoriali proprie dell’Istituto di cura, affermando di
conseguenza, in modo logicamente incongruente, che l’attività della
Casa di cura dovesse essere considerata come attività imprenditoriale
priva di fine lucrativo.

Sentenza 29 aprile 2003, n.12739

In tema di contribuzione alla Cassa Unica per gli assegni familiari,
il beneficio dall’esonero dal pagamento dei contributi è previsto in
favore dei datori di lavoro esercenti istituzionalmente le attività
di erogazione di prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale e di
assistenza sociale che – a prescindere dalla natura imprenditoriale –
non abbiano fini di lucro, purché assicurino ai propri dipendenti un
trattamento per carichi di famiglia non inferiore agli assegni
familiari. Ne consegue che, ove una casa di cura gestita da una
congregazione religiosa produca utili di esercizio, viene meno il
presupposto dell’assenza di fini di lucro, senza che rilevi in
contrario la destinazione degli stessi utili al raggiungimento delle
finalità religiose e di culto perseguite dalla Congregazione.

Accordo 18 febbraio 1984

INTER SANCTAM SEDEM ET ITALIAM CONVENTIONES ACCORDO TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA CHE APPORTA MODIFICAZIONI AL CONCORDATO LATERANENSE Firmato il 18 febbraio 1984 Pubblicato in AAS 77 (1985), pp. 521-546 LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni […]

Provvedimento 13 dicembre 1994, n.4397

Gli immobili collegati all’Opera Pia da un intimo rapporto di
strumentalità e finalizzazione per conseguire l’espletamento delle
funzioni ed il conseguimento dei fini istituzionali suoi propri sono
esenti dall’INVIM, poiché è il rapporto della strumentalità che
è richiesto, per l’esenzione dall’INVIM decennale dei beni
immobili, dall’art. 25, lettera c), del d.P.R. 26 ottobre 1972 n.
643.

Sentenza 19 giugno 1997, n.235

Le differenze naturalmente riscontrabili nei contenuti delle
discipline bilaterali dei rapporti dello Stato con le confessioni
religiose – espressioni di un sistema di relazioni che tende ad
assicurare l’uguale garanzia di libertà e il riconoscimento delle
complessive esigenze di ciascuna di tali confessioni, nel rispetto
della neutralità dello Stato in materia religiosa nei confronti di
tutte – possono rappresentare, e nella specie rappresentano, quelle
diversità di situazioni che giustificano, entro il limite della
ragionevolezza, ulteriori differenze nella legislazione unilaterale
dello Stato. Differenze destinate naturalmente a ricomporsi tutte le
volte in cui le norme di matrice pattizia vengano ad assumere, per
volontà delle parti, analoghi contenuti.

Sentenza 10 febbraio 1997, n.43

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma
1, 2, 19 e 21, comma 1, Cost., l’art. 8, commi 2 e 3, l. 15 dicembre
1972 n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza),
nella parte in cui esclude la possibilita’ di piu’ di una condanna per
il reato di chi, al di fuori dei casi di ammissione ai benefici
previsti dalla legge suddetta, rifiuta, in tempo di pace, prima di
assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo i motivi di cui
all’art. 1 della medesima legge, in quanto la disciplina dettata dalle
disposizioni impugnate appare intimamente contraddittoria, sia perche’
determina un pervertimento della natura di quelli che, nei confronti
della generalita’ dei destinatari, valgono normalmente come benefici
(sospensione condizionale della pena, amnistia, indulto, grazia,
liberazione condizionale, affidamento in prova), sia perche’ e’
incongrua rispetto alla sua ‘ratio’, inequivocabilmente orientata
dall’intento di evitare che l’integrazione della fattispecie di reato
di cui al secondo comma dell’art. 8 (obiezione totale) possa avvenire
piu’ di una volta nell’ambito della vicenda personale di ciascun
obiettore; ed in quanto – nella ipotesi in cui (come nella disciplina
impugnata) il legislatore, secondo valutazioni rientranti nell’ambito
della sua discrezionalita’, ritenga che l’ordinato vivere sociale non
consenta di riconoscere ai singoli il diritto di sottrarsi
unilateralmente ed incondizionatamente all’adempimento dei doveri di
solidarieta’, e tuttavia dia rilievo alle determinazioni di coscienza
– siffatta rilevanza del principio di protezione dei c.d. diritti
della coscienza, se risulta compatibile con la previsione di una prima
ed unica sanzione, compatibile a sua volta con il riconoscimento della
signoria individuale sulla propria coscienza, la quale puo’ non essere
disgiunta dal pagamento di un prezzo previsto dall’ordinamento, e’
vanificata dalla ripetuta comminazione di sanzioni, posto che questa,
introducendo una pressione morale continuativa orientata ad ottenere o
il mutamento dei contenuti della coscienza ovvero un comportamento
esteriore contrastante con essa, finisce per disconoscere la predetta
signoria.

Ordinanza 23 febbraio 1998, n.34

E’ manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza – essendo
stata prospettata in via ipotetica, in vista di una evenienza futura –
la questione di costituzionalita’ dell’art. 8, terzo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, come sostituito dall’art. 2 della
legge 24 dicembre 1974, n. 695, sollevata, in riferimento agli artt.
2, 3, 19, 21, 23, 27, terzo comma, e 52, secondo comma Cost., sotto il
profilo che tale norma non esclude la possibilita’ di pronunciare piu’
di una condanna per un reato contrassegnato dal “rifiuto” del servizio
militare di leva, benche’ diverso, per i motivi del rifiuto stesso, o
per il tempo della sua manifestazione, dal reato previsto nel secondo
comma dell’art. 8 (rifiuto di servizio militare di leva per i motivi
stabiliti dall’art. 1, stessa legge). Posto, infatti, che il principio
affermato nella sentenza n. 43 del 1997, della quale il giudice
rimettente chiede l’applicazione, concerne l’ipotesi in cui a una
prima condanna non faccia seguito, per un motivo legalmente previsto,
l’esecuzione della pena – condizione per l’operativita’ della clausola
di esonero dal servizio di cui al terzo comma dell’art. 8 – con
ulteriore chiamata alle armi e conseguente procedimento penale, nella
persistenza della condotta di rifiuto, risulta invece dalla ordinanza
di rimessione, che nel giudizio principale l’imputato e’ chiamato a
rispondere per la prima volta del reato militare di mancanza alla
chiamata, per motivi non riconducibili a quelli di cui all’art. 1
della legge n. 772 del 1972 e che quindi nel giudizio ‘a quo’ non puo’
porsi alcun problema di ripetizione della condanna e di ulteriore
irrogazione di una pena ne’ puo’ venire in rilievo la predetta
clausola di esonero dal servizio.