Esenzione fiscale
Ordinanza 30 maggio 2005, n.11426
L’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992 prevede
l’esenzione dall’ICI per gli immobili, utilizzati da enti non
commerciali, “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività
assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,
culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui
all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
L’art. 59, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 446/1997 ha tuttavia in
parte modificato la portata applicativa della norma suddetta,
disponendo che i Comuni possano stabilire che il diritto all’esenzione
in questione competa solo ove i fabbricati “oltre che utilizzati,
siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”. Ne
discende che, in base alla normativa previgente, applicabile sino al
31.12.1997, deve ritenersi che l’esenzione dall’ICI, spetti anche a
soggetti diversi dagli enti non commerciali, essendo sufficiente che
gli stessi abbiano dato in locazione i beni ad alcuno di tali
soggetti, e che costoro li utilizzino per l’espletamento di una delle
attività previste dalla precitata disposizione dell’art. 7. Ciò
posto, la Corte ritiene rilevante in causa e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale del suddetto
art. 59, comma 1°, lett. c) del Decreto Legislativo 15.12.1997 n.
446, per contrasto con gli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione. La
sopravvenuta disposizione dell’art. 59, infatti, impone una
irragionevole rilettura dell’art. 7, comma 1, lett. i), che contrasta
con i principi di eguaglianza e di capacità contributiva desumibili
dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto esonera taluni
soggetti dal concorso alla spesa pubblica, prescindendo dalla
manifestazione di ricchezza e di capacità economica espressa dal bene
posseduto, avendo altresì riguardo a requisiti soggettivi ed
oggettivi posseduti da terzi; inoltre, vulnera la riserva di legge –
desumibile dall’art. 23 Cost. – assegnando agli enti locali il potere
di stabilire con norme regolamentari presupposti impositivi e casi di
esenzione.
Sentenza 23 marzo 2005, n.6316
Gli immobili adibiti a sede vescovile godono dell’esenzione di cui
all’art. 7, comma 1, lettera i),del D.Lgs.n.504/1992. L’episcopio,
e cioè la sede della diocesi e della curia vescovile, è infatti un
immobile destinato all’esercizio del ministero proprio del Vescovo
diocesano (canoni 381-402 del Codice di diritto canonico) e delle
attività istituzionali della diocesi (canoni 469-494 del Codice di
diritto canonico); attività che sono ex lege definite come di
“religione e di culto” (art. 2, comma 1, della legge n. 222/1985).
Tale circostanza esclude, pertanto, ogni possibilità che presso detti
edifici si svolgano “attività oggettivamente commerciali”, il cui
esercizio – secondo l’orientamento più volte espresso dalla Suprema
Corte – è la sola condizione che possa escludere l’applicabilità del
beneficio, di cui al suddetto art. 7, comma 1, lettera i), del D.Lgs.
n. 504/1992, agli immobili posseduti da enti ecclesiastici. Né – ai
fine dell’applicabilità dell’esenzione in questione – può
rilevare le circostanza che il Vescovo diocesano abiti nell’immobile o
che nello stesso si trattino gli affari amministrativi e giudiziari
della diocesi, in quanto “attività non strettamente religiose”. Il
fatto che il Vescovo abiti nel palazzo vescovile, infatti, non
trasforma in abitazione privata l’immobile in questione, che rimane la
sede istituzionale del Vescovo stesso, il quale vi abita proprio per
l’esercizio della sua funzione e della sua missione, anche in
adempimento dell’obbligo della residenza personale nella diocesi
impostogli dal canone 395 del Codice di diritto canonico. Il fatto che
nel palazzo vescovile si trattino gli affari amministrativi e
giudiziari della diocesi, inoltre, costituisce il normale esercizio
della potestà di governo della diocesi attribuita al Vescovo,
qualificabile dunque, in quanto tale, come attività strettamente
religiosa.