Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 04 luglio 2006, n.253

E’ fondata la questione di legittimità costituzionale afferente
all’art. 7, comma 5, della L.R. Toscana n. 63/2004. La norma
impugnata prevede che “La richiesta di un trattamento sanitario, che
abbia ad oggetto la modificazione dell’orientamento sessuale o
dell’identità di genere per persona maggiore degli anni diciotto,
deve provenire personalmente dall’interessato, il quale deve
preventivamente ricevere un’adeguata informazione in ordine allo
scopo e natura dell’intervento, alle sue conseguenze ed ai suoi
rischi”. Tale disposizione, incidendo sulla materia dell’ordinamento
civile e, precisamente, su quella degli atti di disposizione del
proprio corpo, riguarda dunque un tema riservato all’esclusiva
potestà legislativa statale. In particolare, il trattamento sanitario
che abbia ad oggetto l’adeguamento dei caratteri sessuali
morfologici esterni alla identità psico-sessuale, rientra tra quelli
che, pur determinando una diminuzione permanente della propria
integrità fisica, sono eccezionalmente ammessi dall’ordinamento –
in deroga al divieto di cui all’art. 5 del codice civile – nei
limiti fissati dal legislatore statale con la legge del 14 aprile 1982
n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso).

Risoluzione 28 giugno 2006, n.1510

Consiglio d’Europa. Risoluzione 28 giugno 2006, n. 1510: “Freedom of expression and respect for religious beliefs” (*) 1. The Parliamentary Assembly of the Council of Europe reaffirms that there cannot be a democratic society without the fundamental right to freedom of expression. The progress of society and the development of every individual depend on the […]

Risoluzione 15 giugno 2006, n.273

Parlamento europeo. Risoluzione 15 giugno 2006, n. 273: “Intensificarsi della violenza razzista e omofoba in Europa”. Il Parlamento europeo , – visti gli strumenti internazionali in materia di diritti umani che vietano la discriminazione fondata sull’origine razziale o etnica, in particolare la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e la Convenzione europea […]

Legge 09 marzo 2004, n.204

Loi n° 2004-204 du 9 mars 2004 portant adaptation de la justice aux évolutions de la criminalité (in Journal Officiel de la République Française, n° 59 du 10 mars 2004, page 4567) (omissis) Chapitre IV Dispositions concernant la lutte contre les discriminations. Section 1 Dispositions relatives à la répression des discriminations et des atteintes aux […]

Legge 26 novembre 2003, n.1119

Loi n° 2003/1119 du 26 novembre 2003 relative à la maîtrise de l’immigration, au séjour des étrangers en France et à la nationalité. L’Assemblée nationale et le Sénat ont adopté, Vu la décision du Conseil constitutionnel n° 2003-484 DC du 20 novembre 2003, Le Président de la République promulgue la loi dont la teneur suit: […]

Sentenza 04 aprile 2001

L’art. 1 della Costituzione della California, così come la
Costituzione degli Stati Uniti, sancisce il principio di laicità
dello stato e di uguaglianza tra le religioni. La presenza di un
simbolo religioso sul territorio cittadino non viola detti principi se
non rappresenta un trattamento preferenziale dell’autorità civile
verso una determinata religione. Nel caso di specie, le autorità
cittadine hanno venduto a privati una parte del terreno pubblico dove
è collocata una croce; la vendita non è da ritenersi un modo per
favorire la religione cristiana poichè si è svolta in modo corretto
e trasparente e non finalizzato ad evitare la rimozione della croce.
Trovandosi il simbolo in questione su una proprietà privata, i
proprietari sono liberi di mantenerne la collocazione, anche se esso
è visibile dal territorio pubblico.

Risoluzione 12 aprile 2006, n.1495

Consiglio d’Europa. Risoluzione 12 aprile 2006, n. 1495: “Combating the resurgence of Nazi ideology”. 1. In May 1945, the Allied Powers defeated the Nazi German regime and put an end to Hitler’s National-Socialism, the most cruel and barbaric regime that Europe had ever known. 2. More than just a defeat of the Nazi armies, the […]

Sentenza 10 maggio 2001

Corte Europea dei diritti dell’uomo. Sentenza 10 maggio 2001: “Case of Cyprus v. Turkey” (Application no. 25781/94) […] 1. The case was referred to the Court, in accordance with the provisions applicable prior to the entry into force of Protocol No. 11 to the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms (“the […]

Sentenza 25 luglio 2005, n.932

Il diritto di libertà religiosa sancito dall’art. 9 della CEDU
include la libertà di manifestare il proprio credo ed in particolare
di esercitare il culto. Le condizioni di lavoro possono però trovarsi
in conflitto con le modalità di esercizio del culto; nel caso di
specie, turni lavorativi che includono la domenica contrastano con il
desiderio del lavoratore cristiano di godere del giorno festivo
previsto dalla propria religione. L’art. 9, 2° comma della CEDU
permette tuttavia restrizioni al diritto di manifestare la propria
fede religiosa; dunque è da ritenersi che il datore di lavoro non
abbia un obbligo assoluto di rispettare il diritto del dipendente
all’esercizio del culto, ma possa limitarlo, tenendo conto delle
necessità dell’impresa. Un dipendente che rifiuti di lavorare la
domenica in ragione della sua religione, può perciò essere
legittimamente licenziato e la sua libertà religiosa non risulta
violata se la restrizione operata (in questo caso la fissazione di un
turno domenicale) è ragionevole e risponde alle necessità economiche
dell’impresa.
Il datore di lavoro dovrà ad ogni modo cercare di predisporre
specifici aggiustamenti a favore delle esigenze religiose del
dipendente; tuttavia il licenziamento appare giustificato in base
all’Employment Rights Act 1996 se è stato fatto tutto il possibile
per porre in atto tali aggiustamenti e per giungere ad una soluzione
di compromesso che permetta al dipendente l’esercizio del suo
diritto (cosa accaduta nel caso di specie, dove era stato offerto un
posto di lavoro alternativo nella medesima azienda, nel quale non
erano previsti turni lavorativi la domenica).
Quanto alla motivazione del licenziamento, essa non è rinvenibile
nella religione del dipendente, ma nel suo rifiuto ad adeguarsi
all’orario di lavoro previsto e ad accettare altre soluzioni
alternative offerte dall’impresa; non si tratta, perciò, di un
licenziamento discriminatorio.

Sentenza 17 marzo 2006, n.9381

L’art. 3 del decreto legge n. 122/93, convertito nella legge n.
205/93, prevede un aggravamento di pena sino alla metà, per i reati
commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale
razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di
organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, che hanno tra i loro
scopi le medesime finalità. In particolare, l’accertamento di tali
finalità non richiede autonoma verifica dell’elemento psicologico
rispetto a quanto necessita l’accertamento di responsabilità ai
sensi dell’art. 43 c.p., nè sono possibili graduazioni a seconda
che il fatto costitutivo di reato affermi nell’accezione comune
disuguaglianza sociale o giuridica (discriminazione), o si rapporti
invece all’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa, quale
ragione di conflitto tra persone (odio). Nella fattispecie
dell’ingiuria, se il fatto consiste nell’uso di una particolare
locuzione, questa necessita dell’apprezzamento semantico della
combinazione degli elementi del linguaggio. Poiché, nel caso di
specie, l’univocità semantica implica il riconoscimento
dell’ulteriore disvalore di legge proprio per la sua valenza
discriminatoria o di conflittualità apodittica in ragione di
diversità dell’offeso, la verifica del fatto, che abbia indotto il
giudice ad escludere giustificazione al reato (per es. ai sensi
dell’art. 599 c.p.), dà conto dell’aggravante di cui all’art. 3
della legge n. 205/93.