Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 24 marzo 2018

"Il giudice tutelare
dott.ssa Michela Fenucci ritiene di sollevare questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3 commi 4 e 5 della
legge 219/2017 nella parte in cui stabiliscono che
l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda
l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito
sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento,
possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le
cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato,
ritenendo le suddette disposizioni in violazione degli articoli 2, 3,
13, 32 della Costituzione"

Fonte del
documento: www.centrostudilivatino.it

Legge 22 dicembre 2017, n.219

"Art. 4
Disposizioni anticipate di trattamento

1. Ogni persona
maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di
un'eventuale futura incapacita' di autodeterminarsi
e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle
conseguenze delle sue scelte, puo', attraverso le DAT,
esprimere le proprie volonta' in materia di trattamenti
sanitari, nonche' il consenso o il rifiuto rispetto ad
accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli
trattamenti sanitari. Indica altresi' una persona di
sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che
ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con
le strutture sanitarie.
2. Il fiduciario deve essere una
persona maggiorenne e capace di intendere e di volere.
L'accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene
attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che
e' allegato alle DAT. Al fiduciario e' rilasciata
una copia delle DAT. Il fiduciario puo' rinunciare alla
nomina con atto scritto, che e' comunicato al disponente.
3. L'incarico del fiduciario puo' essere revocato dal
disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalita'
previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.
4.
Nel caso in cui le DAT non contengano l'indicazione
del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia
divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle
volonta' del disponente. In caso di necessita', il
giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di
sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del
codice civile.
5. Fermo restando quanto previsto dal comma 6
dell'articolo 1, il medico e' tenuto al rispetto delle
DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal
medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse
appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla
condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie
non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di
offrire concrete possibilita' di miglioramento
delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario
e il medico, si procede ai sensi del comma 5, dell'articolo
3.
6. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per
scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata
consegnata personalmente dal disponente presso l'ufficio
dello stato civile del comune di residenza del disponente
medesimo, che provvede all'annotazione in apposito registro,
ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora
ricorrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti
dall'obbligo di registrazione, dall'imposta di bollo e da
qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in
cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT
possono essere espresse attraverso videoregistrazione o
dispositivi che consentano alla persona con disabilita' di
comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili,
modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui
ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla
revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti,
queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta
o videoregistrata da un medico, con l'assistenza di due
testimoni.
7. Le regioni che adottano modalita' telematiche
di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario
elettronico o altre modalita' informatiche di gestione dei
dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale
possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia
delle DAT, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro
inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la
liberta' di scegliere se darne copia o indicare dove esse
siano reperibili.
8. Entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, il Ministero della
salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare
della possibilita' di redigere le DAT in base alla presente
legge, anche attraverso i rispettivi siti internet."

Parere 23 giugno 2017

"Il parere (…) è
dedicato al rapporto tra immigrazione e salute. Attingendo a una
serie di dati circostanziati, da quelli di
carattere epidemiologico a quelli sul numero degli sbarchi sulle
coste italiane, il parere richiama innanzitutto
l‟attenzione sull‟emergenza che sta mettendo a
dura prova la sostenibilità, non solo finanziaria, delle
varie misure lodevolmente
approntate negli ultimi anni
dall‟Italia per gestire il flusso migratorio, dalle
fasi del salvataggio in mare e della prima assistenza
all‟accoglienza diffusa nei vari comuni del Paese. Il
fenomeno non viene però qui considerato solo
in quest‟ottica, di natura più emergenziale: vi
è infatti anche un‟immigrazione che oramai si
è radicata ed è divenuta permanente, prova ne sia che
gli stranieri residenti in Italia sono oltre 5 milioni e nel
corso del 2015 ben 178.000 sono diventati cittadini italiani.
(…)
Il focus del parere può essere individuato nella
tutela della “salute”, principio scolpito
nell‟identità costituzionale italiana come diritto
sociale, ossia come bene della persona e della
collettività, da garantire, nel suo contenuto essenziale e
senza discriminazioni, a chiunque si trovi sul territorio
nazionale, indipendentemente dal fatto che le persone siano
giunte nel nostro paese in modo regolare o meno, che siano
irregolari, profughi, richiedenti asilo o cosiddetti migranti
economici.
(…)
Tra le varie raccomandazioni finali,
– si richiama la responsabilità della comunità
internazionale sul fenomeno dell‟immigrazione e sulle cause che
ne sono all‟origine, invitando nel contempo a condividere lo
straordinario impegno, profuso negli ultimi anni in modo esemplare
dall‟Italia, per salvare innumerevoli vite umane e garantire il
rispetto del diritto alla salute come diritto umano fondamentale e
universale;
– si evidenziano le criticità sollevate da
un‟applicazione molto disomogenea dell‟Accordo Stato
– Regioni del 20.12.2012 (paragrafo 2), proponendo quindi di
rafforzare il ruolo di coordinamento e di indirizzo del Ministero
della Salute;
– si propone di sviluppare celermente adeguate
modalità di contabilizzazione e rendicontazione delle spese
effettivamente sostenute dal SSN per la salute della popolazione
immigrata irregolare;
– si propone di istituire un dividendo
sulle risorse degli stati maggiormente industrializzati, da versare su
un fondo istituzionale destinato ai paesi più poveri;

si chiede che venga introdotto nel nostro ordinamento il reato di
tortura e che esso sia sanzionato adeguatamente: ciò per
contrastare le esperienze drammatiche, alle quali sono sottoposti i
migranti e in particolare le donne – detenzioni arbitrarie,
trattamenti disumani, ripetute violenze sessuali, prostituzione sotto
ricatto – esperienze che possono aver luogo anche nel territorio
italiano (per esempio ad opera degli scafisti nelle acque territoriali
italiane);
– si suggerisce di allestire forme di accoglienza
specifiche per le donne che hanno subito ripetutamente violenza nel
corso del viaggio di arrivo in Italia;
– si consiglia di
rafforzare l‟impegno a favore dell‟educazione sanitaria,
anche potenziando le funzioni di alcuni servizi, come i consultori
familiari e i servizi di salute mentale;
– si raccomanda un
progressivo aumento delle competenze interculturali degli operatori
del SSN e un‟adeguata valorizzazione, all‟interno dei
percorsi formativi universitari rivolti ai futuri medici e
professionisti della salute, delle Medical Humanities e di studi e
ricerche riguardanti la relazione terapeutica in una prospettiva
interculturale;
– si invitano i relativi Ordini professionali ad
aggiornare i propri codici deontologici, con espliciti riferimenti al
dovere da parte del professionista di tenere conto delle differenti
identità culturali di appartenenza dei pazienti."

Sentenza 27 giugno 2016

Sono costituzionalmente illegittime le disposizioni statali che
impongono un onere eccessivo (undue burden) al diritto di aborto,
ossia che hanno lo scopo o l’effetto di porre un ostacolo
sostanziale alle donne di esercitare la propria volontà di
abortire.

Sentenza 22 dicembre 2015, n.25767

Seppure l’astratta riconoscibilità della
legittimazione attiva del minore disabile non trovi un ostacolo
insuperabile nell’anteriorità del fatto illecito alla
nascita, giacché si può essere destinatari di tutela
anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai
sensi dell’art. 1 c.c., il supposto interesse a non nascere
mette in scacco il concetto stesso di danno. Anzitutto, perché,
in questo modo, si farebbero interpreti unilaterali i genitori
nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di
una vita segnata dalla malattia, come tale, indegna di essere vissuta;
in secondo luogo, perché l’ordinamento non riconosce
“il diritto alla non vita” e conseguentemene
l’esistenza del cd. “diritto di non nascere se non
sani”. Parimenti è infondata l’invocazione del
diritto di autodeterminazione della madre, leso dalla mancata
informazione sanitaria, ai fini di una propagazione intersoggettiva
dell’effetto pregiudizievole. Con riguardo a tale censura, la
Corte di legittimità ha infatti chiarito che non si può
pretendere di estendere al nascituro una facoltà che è
concessa dalla legge alla gestante, in presenza di rigorose condizioni
(art. 6 della legge n. 194 del 1978).

Sentenza 28 ottobre 2015, n.2271

Con riferimento alla determinazione regionale di porre a totale carico
degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo
eterologo, diversamente da quanto previsto per la PMA di tipo omologo
– per la quale gli utenti sono tenuti al versamento del solo ticket,
restando in capo alla Regione il costo dell'intervento -, le
censure contenute nel ricorso sono fondate. Anzitutto non assume
rilievo determinante la circostanza che la PMA, sia omologa che
eterologa, non sia ricompresa formalmente nel d.P.C.M. che individua
le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso
che, se l'inserimento della prestazione nei LEA può avere
un effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone
quindi doverosa l'erogazione su tutto il territorio nazionale alle
medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell'elenco non
può determinare l'effetto opposto, considerato che va
verificata in concreto l'appartenenza di una determinata
prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo,
va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e
su tutto il territorio nazionale. A tal proposito appare
opportuno richiamare la sentenza n. 162 del 2014 della Corte
costituzionale che ha evidenziato come "la scelta di [una] coppia
di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei
figli costituisce espressione della fondamentale e generale
libertà di autodeterminarsi, libertà che, come [la]
Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso,
è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché
concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le
limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto
assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e
congruamente giustificate dall'impossibilità di tutelare
altrimenti interessi di pari rango". Inoltre la tematica in esame
è altresì riconducibile al "diritto alla salute,
che, secondo la costante giurisprudenza [della] Corte, va inteso
«nel significato, proprio dell'art. 32 Cost., comprensivo
anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251
del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e
«la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute
fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione
corrisponde a quella sancita dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato
di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni
essere umano» (Atto di costituzione dell'OMS, firmato a New
York il 22 luglio 1946). In relazione a questo profilo, non sono
dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo,
benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un
figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della
coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano
dette tecniche, è, infatti, certo che
l'impossibilità di formare una famiglia con figli insieme
al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo,
possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute
della coppia, nell'accezione che al relativo diritto deve essere
data, secondo quanto sopra esposto. In coerenza con questa
nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che,
«per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio
corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi
leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi
altri interessi costituzionali" (Corte costituzionale, sentenza
n. 162 del 2014).
Trattandosi quindi di prestazione
riconducibile a una pluralità di beni costituzionali –
libertà di autodeterminazione e diritto alla salute – né
il legislatore né, a maggior ragione, l'autorità
amministrativa possono ostacolarne l'esercizio o condizionarne in
via assoluta, la realizzazione, ponendo a carico degli interessati
l'intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e
senza alcun contemperamento con l'eventuale limitatezza delle
risorse finanziarie.

Sentenza 05 giugno 2015, n.96

La normativa in esame (artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge
n. 40/2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche
di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili), appare il risultato di un irragionevole bilanciamento
degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di
razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva
del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o
l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica
ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude,
che, nel quadro di disciplina della legge suddetta, possano ricorrere
alla PMA le coppie affette da tali patologie, adeguatamente accertate,
per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata.
Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni
cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il
pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte
precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio
normativo di gravità” già stabilito
dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978.