Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 07 maggio 2003, n.8828

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Nel vigente assetto
dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la
Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale deve essere inteso
come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un
valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale
soggettivo.
Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un
interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è
soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla
riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone,
pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché
il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno
non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore
della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale,
ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei
diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica
implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo
configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di
riparazione del danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto non coincide con
la lesione dell’interesse protetto, bensì, in quanto danno –
conseguenza, consiste in una perdita, ossia nella privazione di un
valore (non economico, ma) personale, costituito dall’irreversibile
venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione
delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità
con le quali essi normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo
familiare; perdita, privazione e preclusione che, in relazione alle
diverse situazioni, possono avere diversa ampiezza e consistenza in
termini di intensità e protrazione nel tempo. Da tanto discende che,
non essendo configurabile nella specie un danno “in re ipsa”, esso
deve essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza che,
peraltro, sia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche ed a
presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti
dall’interessato), venendo in considerazione un pregiudizio che,
diversamente dal danno morale soggettivo, si proietta nel futuro, e
dovendosi inoltre avere riguardo al periodo di tempo nel quale si
sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che
l’illecito ha invece reso impossibile.
Deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale
soggiaccia al limite di cui agli art. 2059 c.c. e 185 c.p. allorché
vengano lesi valori della persona costituzionalmente garantiti;
pertanto è risarcibile con liquidazione equitativa il danno non
patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella perdita
definitiva del rapporto parentale.

Sentenza 07 maggio 2003, n.8827

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Unica possibile forma di
liquidazione di ogni danno privo, come il danno biologico ed il danno
morale, delle caratteristiche della patrimonialità è quella
equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita
nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento
realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un
pregiudizio non economico. Di conseguenza non sussiste alcun ostacolo
alla risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei prossimi
congiunti del soggetto che sia sopravvissuto a lesioni seriamente
invalidanti; nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume
posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale
deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi
in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso
nel danno morale soggettivo.
La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. va
tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento
generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di
duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto
come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della
persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale
e di quello non patrimoniale, quest’ultimo comprensivo del danno
biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una
lesione dell’integrità psico – fisica secondo i canoni fissati dalla
scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente
inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera
sofferenza psichica e del patema d’animo) nonché dei pregiudizi,
diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di
un interesse costituzionalmente protetto. Ne deriva che, nella
liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori, il giudice, in
relazione alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno
alla persona, non può non tenere conto di quanto già eventualmente
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, pure esso
risarcibile, quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse,
ancorché il fatto non sia configurabile come reato. Infine il
riconoscimento dei “diritti della famiglia” (art. 29, comma 1, cost.)
va inteso non già, restrittivamente, come tutela delle
estrinsecazioni della persona nell’ambito esclusivo di quel nucleo,
con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel più ampio
senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell’individuo
alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale
ispira, generando bensì bisogni e doveri, ma dando anche luogo a
gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché il
fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto,
provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed
una determinante riduzione, se non annullamento, delle positività che
dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente
nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione
all’esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari)
bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti,
deve senz’altro trovare ristoro nell’ambito della tutela ulteriore
apprestata dall’art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse
della persona costituzionalmente protetto.

Decreto 29 maggio 2000, n.3722

L’annotazione del battesimo nell’apposito registro parrocchiale e
la conservazione dell’atto così formato costituiscono operazioni
strettamente connesse con l’attività religiosa della Chiesa
cattolica, rientrando in quell’ordine che lo Stato italiano
riconosce come «indipendente e sovrano» (art. 7 Cost.); queste
attività non ledono, infatti, la libertà religiosa di chi intende
abiurare la fede cattolica e non pongono alcuno ostacolo alla
successiva pubblica professione di ateismo; ne consegue – nel caso di
specie – il rigetto della istanza di cancellazione dai suddetti
registri, presentata da battezzato convertitosi pubblicamente
all’ateismo.

Sentenza 25 marzo 2003, n.8/SSRR/QM

L’art. 4 della legge 24 aprile 1967, n. 261, come modificato
dall’art. 3 della legge 22 dicembre 1980, n. 932, prevede la
concessione, in favore dei cittadini italiani che siano stati
perseguitati, nelle circostanze di cui all’art. 1, della legge 10
marzo 1955, n. 96 (sottoposizione “ad atti di violenza ad opera di
persone al servizio dello Stato”), di un assegno vitalizio di
benemerenza, reversibile ai familiari superstiti, pari al trattamento
minimo di pensione erogato dal fondo pensioni dei lavoratori
dipendenti. Al riguardo, va precisato come il concetto di violenza,
preso in considerazione dalla menzionata disposizione, debba
necessariamente comprendere anche l’applicazione delle misure
discriminatorie poste in essere in esecuzione delle cc.dd. “leggi
razziali”. Ciascuno dei singoli provvedimenti amministrativi di
attuazione di detta normativa va, infatti, considerato come
un’offesa ai valori fondamentali dell’individuo e l’espressione
della violazione del diritto naturale, degli appartenenti alla
minoranza ebraica, alla propria identità socio-culturale. Pertanto,
le misura concrete di attuazione della normativa antisemita (quali,
nel caso si specie, l’espulsione di una alunna da una scuola
pubblica) debbono ritenersi idonee – sebbene non espressamente
menzionate dalla normativa sopra citata – a concretizzare una
specifica azione lesiva proveniente dell’apparato statale e diretta
a ledere la persona nei suoi diritti inviolabili, con conseguente
possibilità per la stessa di beneficiare della disciplina di
benemerenza in esame.

Sentenza 09 marzo 1998, n.50

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2 17 e
18 Cost. (principio di liberta’ sociale), l’art. 21, comma 2, l. reg.
Liguria 21 luglio 1986, n. 15 (Disciplina delle attivita’ delle
agenzie di viaggio e turismo), nella parte in cui assoggetta a
sanzione amministrativa anche l’attivita’ di organizzazione e di
intermediazione di cui all’ art. 2 della medesima legge, svolta
occasionalmente e senza scopo di lucro, in quanto – posto che l’art.
21, comma 2, sanzionava amministrativamente chiunque intraprenda o
svolga, in forma continuativa od occasionale, anche senza scopo di
lucro, le attivita’ di organizzazione e di intermediazione previste
dall’art. 2 (che individua le attivita’ proprie delle agenzie di
viaggio e turismo); e che la liberta’ sociale dei cittadini non
comporta il diritto di compiere qualsiasi attivita’, di tal che, se
svolta con continuita’ e con finalita’ lucrativa, l’organizzazione di
gite o di viaggi turistici e’ qualificabile attivita’ economica e, in
quanto tale, soggiace ai limiti dell’art. 41 Cost. e delle leggi che
vi danno attuazione – la disposizione impugnata colpisce anche
comportamenti (quale l’attivita’ di organizzazione di viaggi svolta
episodicamente e senza finalita’ di profitto) che sono espressione
della socialita’ della persona, che e’ il bene protetto dal principio
di liberta’ sociale desumibile dalle disposizioni costituzionali
dianzi richiamate. E’ costituzionalmente illegittimo, ai sensi
dell’art. 27 l. n. 87 del 1953, per violazione degli artt. 2, 17 e 18
Cost., l’art. 20, comma 2, l. reg. Liguria 24 luglio 1997 n. 28
(Organizzazione ed intermediazione di viaggi e soggiorni turistici),
nella parte in cui assoggetta a sanzione amministrativa anche
l’attivita’ di organizzazione e di intermediazione di viaggi e
turismo, svolta occasionalmente e senza scopo di lucro, in quanto tale
disposizione riproduce in modo del tutto assimilabile il precetto
contenuto nell’art. 21, comma 2, l. reg. n. 15 del 1986.