Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Accordo 04 marzo 2015

[Si ringrazia per la segnalazione del documento Stella Coglievina,
Università degli Studi dell'Insubria]

Sentenza 14 gennaio 2015, n.[2015] EWFC 3

La presente sentenza, pronunciata in un caso ove era in discussione se
la figlia di coniugi musulmani fosse stata sottoposta – o
rischiasse di essere sottoposta – a mutilazione genitale
femminile, sono state esaminate le differenze tra la circoncisione e
la mutilazione genitale femminile, concludendo per
l’ammissibilità della prima – anche se non
terapeutica – ma non della seconda (par. 59-73).

Sentenza 22 gennaio 2015

L’ampiezza del sindacato del giudice statale sui provvedimenti
di espulsione adottati all’interno di un gruppo confessionale si
riduce al vaglio del rispetto dei diritti fondamenali concretamente
offerti e, segnatamente, del diritto di difesa, inteso nel suo nucleo
essenziale di sostanziale possibilità di contraddire
all’interno del procedimento di espulsione. Ciò in
quanto nell’ordinamento giuridico italiano la potestà
sanzionatoria e disciplinare di tali gruppi trova una sua propria
fonte (in luogo di quella comune prevista dal codice civile per gli
enti associativi), da una parte, dal combinato disposto costituzionale
di cui agli artt. 7, I° co. e 8, II° co.; e dall’altra
parte, dalla giurisprudenza della Consulta, che ha ribadito nel tempo
la forza e la cogenza di tali precetti, mettendo a fuoco il ruolo
limite costituito dai “principi supremi”
dell’ordinamento statuale. Ne deriva, quindi, secondo il
Tribunale adito, che l’espulsione del singolo adepto a seguito
dell’esplicarsi di quella autonoma potestà organizzativa,
che comprende l’irrogazione di sanzioni, possa essere sindacata
e dichiarata illegittima unicamente laddove questi riscontri la chiara
ed effettiva lesività in concreto dei diritti fondamentali
della persona garantiti dalla Costituzione (art. 2) –
all’esterno e – all’interno delle formazioni
sociali; ossia quando, sulla base dei documenti e delle allegazioni di
causa offerti allo scrutinio giudiziale, si appalesi l’effettiva
attitudine dell’espulsione a recare un danno ingiusto in spregio
ai beni costituzionalmente presidiati (ad es. con modalità tali
da ledere il prestigio, l’onore e la dignità del soggetto
espulso).

Sentenza 09 febbraio 2015, n.2400

Nel nostro sistema giuridico il matrimonio tra persone dello stesso
sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto
tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Il nucleo relazionale
che caratterizza l’unione "omoaffettiva", invece,
riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2
Cost. e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto
dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può
acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello
matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una
disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali
scaturenti dalla relazione in questione. L’insussistenza di un
obbligo costituzionale ad estendere il vincolo coniugale alle
unioni omoaffettive è stata del resto ribadita dalla sentenza
n. 170 del 2014
della Corte Costituzionale, nella quale è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della
disciplina normativa che faceva conseguire in via automatica, alla
rettificazione del sesso, lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, senza preoccuparsi di prevedere per
l’unione, divenuta omoaffettiva, un riconoscimento e uno statuto
di diritti e doveri che ne consentisse la conservazione in una
condizione coerente con l’art. 2 Cost. (e 8 Cedu). La Corte ha
in questo senso evidenziato che il contrasto in tale fattispecie si
determina il “passaggio da uno stato di massima protezione
giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza", con
conseguente necessità di un tempestivo intervento legislativo.

Ordinanza 04 dicembre 2014, n.1241

Il divieto di discriminazione è posto a tutela della
dignità umana e chi agisce per farlo valere non deve mai essere
esposto al rischio di subire una vendetta o un danno, anche solo di
immagine.