Sin dalla sentenza 27 gennaio 1997, n. 807, la Corte di Cassazione ha
riconosciuto che “l’evoluzione degli strumenti di indagine sul DNA
consente di effettuare accertamenti anche sul cadavere del presunto
padre”; pronunce successive (Sez. 1^, 3 settembre 2004, n. 17825; Sez.
1^, 8 novembre 2006, n. 23800) non hanno mancato di convalidare
sentenze di Giudici di merito che avevano fatto ricorso, ai fini
dell’accertamento della genitura naturale, all’esame del DNA del
defunto. Nella medesima direzione sono le indicazioni che provengono
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo
(sentenza 13 luglio 2006, Jaggi c. Svizzera) – affrontando un caso di
richiesta di prelievo di campioni del DNA dalla salma di un uomo
nell’ambito di un’azione di accertamento della paternita’ – ha
affermato: (a) che il diritto di conoscere la propria discendenza e’
ricompreso nel piu’ ampio diritto all’identita’, elemento
centrale della nozione di vita privata; (b) che l’interesse del
ricorrente (nel caso, nato nel 1939) a conoscere le proprie origini
non puo’ ritenersi venuto meno per il solo fatto dell’eta’
avanzata; (c) che il prelievo di campioni di DNA dalle spoglie del
defunto costituisce misura poco invasiva. Tanto rilevato, si può
affermare che se è’ esatto ricordare che l’ammissione della
consulenza tecnica d’ufficio rientra nei poteri discrezionali del
Giudice del merito (Cass., Sez. 1^, 28 febbraio 2006, n. 4407) e che,
anche nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternita’
naturale il ricorso alle indagini ematologiche e genetiche e’
rimesso alla valutazione di quel Giudice, il quale puo’ ritenerle
superflue ove abbia gia’ acquisito elementi sufficienti a fondare il
proprio convincimento (Cass., Sez. 1^, 18 aprile 1997, n. 3342; Cass.,
Sez. 1^, 25 febbraio 2002, n. 2749), laddove – come nel caso di specie
– il quadro probatorio si caratterizzi per il fatto che la domanda
giudiziale, pur non manifestamente infondata, sia stata rigettata solo
in riferimento alla non univocita’ e alla discordanza tra gli
elementi acquisiti”, l’avere giudicato ultroneo il ricorso ad una
prova – quella scientifica normalmente destinata a costituire uno
strumento di accertamento della esistenza o della non esistenza del
fatto controverso, per giunta in relazione ad un’azione, la
dichiarazione giudiziale di genitura naturale, volta alla tutela di
diritti fondamentali attinenti allo status – si risolve in un vizio di
motivazione della sentenza impugnata.