Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 luglio 2018, n.19151/2018

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna del medico al
risarcimento del danno da nascita indesiderata di un bambino malato,
soprattutto alla luce del fatto che la donna aveva espresso, anche
implicitamente, la volontà di abortire in caso di patologie
gravi per il nascituro. Il genitore che agisce per il risarcimento del
danno ha l'onere di provare che avrebbe esercitato la
facoltà d'interrompere la gravidanza ove fosse stata
tempestivamente informata dell'anomalia fetale, ma tale onere
può essere assolto tramite praesumptio hominis,
in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il
ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute
del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o
le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all'opzione
abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si
sarebbe determinata all'aborto per qualsivoglia ragione personale.
Circa la quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di
merito deve rigorosamente valutare tanto l'aspetto interiore del
danno (cd. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus
con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale), atteso che oggetto
dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile
è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto
costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà
naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali
aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò,
autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti
i mezzi di prova normativamente previsti.

Sentenza 07 maggio 2003, n.8828

L’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione
del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si
concreta nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è
ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost. Esso si colloca nell’area del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione e si distingue sia dall’interesse
al “bene salute” (protetto dall’art. 32 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità
morale (protetto dall’art. 2 cost. e tutelato attraverso il
risarcimento del danno morale soggettivo). Nel vigente assetto
dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la
Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale deve essere inteso
come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un
valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale
soggettivo.
Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un
interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è
soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla
riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone,
pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché
il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno
non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore
della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale,
ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei
diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica
implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo
configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di
riparazione del danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto non coincide con
la lesione dell’interesse protetto, bensì, in quanto danno –
conseguenza, consiste in una perdita, ossia nella privazione di un
valore (non economico, ma) personale, costituito dall’irreversibile
venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione
delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità
con le quali essi normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo
familiare; perdita, privazione e preclusione che, in relazione alle
diverse situazioni, possono avere diversa ampiezza e consistenza in
termini di intensità e protrazione nel tempo. Da tanto discende che,
non essendo configurabile nella specie un danno “in re ipsa”, esso
deve essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza che,
peraltro, sia precluso il ricorso a valutazioni prognostiche ed a
presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti
dall’interessato), venendo in considerazione un pregiudizio che,
diversamente dal danno morale soggettivo, si proietta nel futuro, e
dovendosi inoltre avere riguardo al periodo di tempo nel quale si
sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che
l’illecito ha invece reso impossibile.
Deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale
soggiaccia al limite di cui agli art. 2059 c.c. e 185 c.p. allorché
vengano lesi valori della persona costituzionalmente garantiti;
pertanto è risarcibile con liquidazione equitativa il danno non
patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella perdita
definitiva del rapporto parentale.