Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 settembre 1996

La condanna di appartenenti alla Confessione religiosa dei Testimoni
di Geova che avevano aperto e officiato un edificio di culto senza la
richiesta autorizzazione delle autorità ortodosse e del Ministro
dell’educazione e degli affari religiosi viola l’art. 9 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce la libertà
religiosa o i mezzi impiegati per esprimerla; non può essere
considerato pertanto uno scopo legittimo comprimere direttamente
l’esercizio della libertà religiosa né uno strumento necessario in
una società democratica coinvolgere in una procedura autorizzativa
l’autorità ecclesiastica della religione dominante.

Sentenza 23 giugno 1994

New Brunswick Court of Appeal. Sentenza 23 giugno 1994. Region 2 Hospital Corp. c. Walker (Litigation Guardian of). Il Medical Consent of Minors Act, S.N.B. 1976, prevede che, una volta accertata la capacità di intendere e di volere di un minore, questi possa disporre del diritto di rifiutare trattamenti sanitari anche nel caso in cui […]

Carta 09 dicembre 2000

In OLIR.it:
“Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
[https://www.olir.it/documenti/?documento=4529]”, testo modificato e
approvato il 12 dicembre 2007, che sostituisce la Carta proclamata il
7 dicembre 2000.
Dal 1° dicembre 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona, la Carta ha acquisito “lo stesso valore dei trattati” (ex
art. 6 del nuovo Trattato sull’Unione europea).

Disegno di legge 11 settembre 2000, n.3947

Camera dei Deputati – XIII Legislatura. Disegno di legge 11 settembre 2000, n. 3947: “Norme sulla libertà religiosa”. CAPO I LIBERTA DI COSCIENZA E DI RELIGIONE Art. 1. 1. La libertà di coscienza e di religione, quale diritto fondamentale della persona, è garantita a tutti in conformità alla Costituzione, alle convenzioni internazionali sui diritti inviolabili […]

Decreto Presidenza Consiglio Ministri 14 marzo 1997

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Commissione consultiva per la libertà religiosa, 14 marzo 1997. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400, Decreta Art.1 1. E’ istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la commissione consultiva […]

Sentenza 24 dicembre 1991, n.467

La regola della proporzionalità della limitazione di un diritto
inviolabile dell’uomo in riferimento all’adempimento di un dovere
costituzionale inderogabile, impone che il legislatore, nel suo
discrezionale bilanciamento dei valori costituzionali, possa
restringere il contenuto del diritto inviolabile – qual’é, nella
specie, il diritto alla professione della propria fede religiosa –
soltanto nei limiti strettamente necessari alla protezione
dell’interesse pubblico sottostante al dovere costituzionale
contrapposto, qual’é a sua volta, nella specie, l’obbligo di prestare
il servizio militare di leva in tempo di pace. E tali limiti sono
indubbiamente superati con la mancata estensione dell’esonero, a pena
espiata, dalla prestazione del servizio militare – previsto dall’art.
8, terzo comma, legge 15 dicembre 1972, n. 772, per l’obiettore di
coscienza che, senza aderire alla possibilità della prestazione di
servizi alternativi, rifiuti il servizio militare prima
dell’incorporazione – all’obiettore che abbia manifestato tale rifiuto
dopo aver assunto il servizio, data la concreta eventualità che, non
potendo giovarsi dell’esonero, lo stesso obiettore sia esposto ad una
lunga e pesante serie di condanne penali.

Sentenza 10 novembre 1997, n.329

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma
1, e 8, comma 1, Cost., l’art. 404, comma 1, cod. pen., nella parte in
cui prevede la pena della reclusione da uno a tre anni, anziche’ la
pena diminuita prevista dall’art. 406 cod. pen., sia perche’, nella
visione costituzionale attuale, la ‘ratio’ differenziatrice – che
ispiro’ il legislatore del 1930 con il riconoscimento alla Chiesa e
alle religioni cattoliche di un valore politico, quale fattore di
unita’ morale della nazione – non vale piu’ oggi, quando la
Costituzione esclude che la religione possa considerarsi
strumentalmente rispetto alle finalita’ dello Stato e viceversa; sia
perche’, in attuazione del principio costituzionale della laicita’ e
non confessionalita’ dello Stato – che non significa indifferenza di
fronte all’esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e
imparzialita’ della legislazione rispetto a tutte le confessioni
religiose – la protezione del sentimento religioso e’ venuta ad
assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di
liberta’ di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare
allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono,
nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai
diversi contenuti di fede delle diverse confessioni; sia, infine,
perche’ il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale – quale criterio
di giustificazione di differenze fra confessioni religiose operate
dalla legge – se puo’ valere come argomento di apprezzamento delle
scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, e’
viceversa vietato laddove la Costituzione, nell’art. 3, comma 1,
stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in
base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l’appunto
la religione, e cioe’ che la protezione del sentimento religioso,
quale aspetto del diritto costituzionale di liberta’ religiosa, non e’
divisibile.

Ordinanza 23 febbraio 1998, n.34

E’ manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza – essendo
stata prospettata in via ipotetica, in vista di una evenienza futura –
la questione di costituzionalita’ dell’art. 8, terzo comma, della
legge 15 dicembre 1972, n. 772, come sostituito dall’art. 2 della
legge 24 dicembre 1974, n. 695, sollevata, in riferimento agli artt.
2, 3, 19, 21, 23, 27, terzo comma, e 52, secondo comma Cost., sotto il
profilo che tale norma non esclude la possibilita’ di pronunciare piu’
di una condanna per un reato contrassegnato dal “rifiuto” del servizio
militare di leva, benche’ diverso, per i motivi del rifiuto stesso, o
per il tempo della sua manifestazione, dal reato previsto nel secondo
comma dell’art. 8 (rifiuto di servizio militare di leva per i motivi
stabiliti dall’art. 1, stessa legge). Posto, infatti, che il principio
affermato nella sentenza n. 43 del 1997, della quale il giudice
rimettente chiede l’applicazione, concerne l’ipotesi in cui a una
prima condanna non faccia seguito, per un motivo legalmente previsto,
l’esecuzione della pena – condizione per l’operativita’ della clausola
di esonero dal servizio di cui al terzo comma dell’art. 8 – con
ulteriore chiamata alle armi e conseguente procedimento penale, nella
persistenza della condotta di rifiuto, risulta invece dalla ordinanza
di rimessione, che nel giudizio principale l’imputato e’ chiamato a
rispondere per la prima volta del reato militare di mancanza alla
chiamata, per motivi non riconducibili a quelli di cui all’art. 1
della legge n. 772 del 1972 e che quindi nel giudizio ‘a quo’ non puo’
porsi alcun problema di ripetizione della condanna e di ulteriore
irrogazione di una pena ne’ puo’ venire in rilievo la predetta
clausola di esonero dal servizio.