Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 21 aprile 2010, n.9464

Il matrimonio religioso ha effetti civili, a seguito della
trascrizione, dal momento della celebrazione. Detto principio non
soffre deroga in caso di trascrizione tardiva, restando indifferente
che il ritardo sia dipeso da fatto dell’ufficiale di stato civile o
da volontà dei coniugi. Di conseguenza, la retroattività degli
effetti della trascrizione tardiva implica il venir meno
dell’eventuale stato vedovile di uno dei coniugi, derivante da
precedente matrimonio, a partire dalla celebrazione del matrimonio
religioso. Ne deriva che, da tale momento, cessa anche il diritto
del coniuge superstite alla pensione di reversibilità del coniuge
defunto, poiché – ai sensi dell’art. 3 del decreto luogotenenziale
18 gennaio 1945 n. 39 – il diritto alla pensione di
reversibilità viene meno per sopravvenuto matrimonio.

Sentenza 19 marzo 2010, n.6686

La declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale
ecclesiastico, che abbia pronunciato la nullità del matrimonio
concordatario per esclusione – da parte di uno soltanto dei coniugi –
di uno dei _bona matrimonii_, e cioè per divergenza unilaterale tra
volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata
manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questo
effettivamente conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota soltanto
a causa della sua negligenza. Ciò in quanto, ove le suindicate
situazioni non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella
contrarietà con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va
ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e
dell’affidamento incolpevole.

Ordinanza 22 gennaio 2010

La mancata previsione dell’identità di sesso, tra le cause ostative
a contrarre matrimonio, lungi dal significare che il legislatore abbia
inteso ammettere il matrimonio omosessuale, è indice del fatto che,
in tale ipotesi, il medesimo sarebbe non già nullo, ma addirittura
inesistente. Nè si può affermare la sussistenza, nell’ordinamento
comunitario, di una disciplina di applicazione diretta negli Stati
Nazionali, che imponga ai medesimi di consentire il matrimonio alle
coppie omosessuali.

Sentenza 17 dicembre 2008, n.5248

E’ compito del giudice della delibazione procedere all’accertamento
della conoscenza o della conoscibilità, da parte di un coniuge, della
riserva unilaterale nutrita dall’altro, in piena autonomia rispetto al
giudice ecclesiastico, ancorchè la relativa indagine si svolga con
esclusivo riferimento alla delibanda pronuncia ed agli atti del
processo canonico eventualmente acquisiti, e non dia luogo ad alcuna
integrazione di attività istruttoria in fase di delibazione . Tale
indagine deve venire condotta con particolare rigore, giacchè detto
accertamento attiene al rispetto di un principio di ordine pubblico di
speciale valenza e alla tutela di interessi della persona riguardanti
la costituzione di un rapporto, quello matrimoniale, oggetto di
rilievo e tutela costituzionali.

Sentenza 08 maggio 2009, n.140

La convivenza more uxorio non può essere assimilata al vincolo
coniugale per desumerne l’esigenza costituzionale di una parità di
trattamento. Infatti, mentre il matrimonio forma oggetto della
specifica previsione contenuta nell’art. 29 Cost., che lo riconosce
elemento fondante della famiglia come società naturale, il rapporto
di convivenza assume anch’esso rilevanza costituzionale, ma
nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo nelle
formazioni sociali garantita dall’art. 2 della Costituzione. Tali
diversità, senza escludere la riconosciuta rilevanza giuridica della
convivenza di fatto, valgono pertanto a giustificare che la legge
possa riservare all’una e all’altra situazione un trattamento non
omogeneo (nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384,
primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli
articoli 2, 3 e 29 della Costituzione).

Ordinanza 22 settembre 2008, n.23934

La norma sull’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio
legittimo, anche in presenza di una diversa contraria volontà dei
genitori, desumibile dal sistema normativo, in quanto presupposta
dagli articoli 237, 262 e 299 c.c. nonché dall’art. 72, 1° comma del
r.d. n. 1238/1939 e ora, dagli articoli 33 e 34 d.p.r. n. 396 del
2000, oltre a non essere piu’ coerente con i principi
dell’ordinamento, che ha abbandonato la concezione patriarcale della
famiglia, e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e
donna, si pone contrasto con alcune norme di origine sopranazionale,
tra cui in particolare, l’art. 16, 1° comma lettera g) della
Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei
confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979,
ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1958, n. 132, che
impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per
eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le
questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in
particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e
alla moglie, compresa la scelta del cognome».

Sentenza 29 luglio 2008, n.308

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
155-quater, primo comma, del codice civile, introdotto dall’art. 1,
comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia
di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), anche
in combinato disposto con l’art. 4 della stessa legge, nella parte in
cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione della casa
familiare nel caso in cui l’assegnatario conviva more uxorio o
contragga nuovo matrimonio. Dall’attuale contesto normativo e
giurisprudenziale emerge, infatti, il rilievo che non solo
l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della
stessa, è subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una
valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della
prole. Ne deriva che l’art. 155-quater cod. civ., ove interpretato,
sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio
o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa sono circostanze
idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione
dell’assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole,
per i quale l’istituto è sorto. La coerenza della disciplina e la sua
costituzionalità possono essere recuperate invece ove la normativa
sia interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non
venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta
(instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che
la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di
conformità all’interesse del minore.

Legge 30 aprile 1993, n.40

Norvegia. Legge 30 aprile 1993, n. 40, sulla partnership registrata. Articolo 1 Due persone dello stesso sesso possono registrare la loro partnership con le conseguenze giuridiche che scaturiscono da questa legge. Articolo 2 Il capitolo 1 della Legge sul matrimonio, relativo alle condizioni per contrarre matrimonio, si applicherà anche alla relazione di partnership. Non si […]

Sentenza 12 maggio 2008, n.11802

L’invocazione, innanzi al tribunale civile, della disciplina
civilistica delle cause di nullità matrimoniali porta ad escludere
l’identità del petitum con il giudizio svoltosi avanti al tribunale
ecclesiastico; ciò si evince dalle specificità e diversità
dell’istituto del matrimonio come configurato nei due ordinamenti
giuridici, riconducibili – rispettivamente – alla concezione del
matrimonio quale sacramento, propria del diritto canonico, ed alla
concezione negoziale, propria del diritto civile.