Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 05 dicembre 2001, n.3793

Nell’ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità viene
attribuita come conseguenza giuridica del concepimento; risulta
pertanto decisivo esclusivamente l’elemento biologico, senza che
nessuna rilevanza possa essere attribuita alla non volontà del
presunto padre. Una diversa interpretazione si porrebbe, infatti, in
contrasto con l’art. 30 della Costituzione, il quale risulta fondato
sul principio della responsabilità, che necessariamente accompagna
ogni comportamento potenzialmente procreativo. Inoltre, in relazione
all’art. 269 c.c., che attribuisce la paternità naturale in base al
mero dato biologico, senza alcun riguardo alla volontà contraria alla
procreazione del presunto padre, è manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento
all’art. 3 Cost., in ragione della disparità di trattamento che ne
risulterebbe in danno dell’uomo rispetto alla donna (alla quale la
legge 22 maggio 1978 n. 194 attribuisce la responsabilità esclusiva
di interrompere la gravidanza ove ne ricorrano le condizioni
giustificative). Ciò in quanto le situazioni poste a confronto non
sono comparabili: l’interesse della donna alla interruzione della
gravidanza non può infatti essere assimilato all’interesse di chi,
rispetto alla avvenuta nascita del figlio fuori del matrimonio,
pretenda di sottrarsi, negando la propria volontà diretta alla
procreazione, alla responsabilità di genitore, in contrasto con la
tutela che la Costituzione, all’art. 30, riconosce alla filiazione
naturale.

Sentenza 15 marzo 2002, n.3793

Nell’ipotesi di nascita per fecondazione naturale, la paternità è
attribuita come conseguenza giuridica del concepimento, sicchè è
esclusivamente decisivo l’elemento biologico e, non occorrendo anche
una cosciente volontà di procreare, nessuna rilevanza può
attribuirsi al «disvolere» del presunto padre, una diversa
interpretazione ponendosi in contrasto con l’art. 30 della
Costituzione, fondato sul principio della responsabilità che
necessariamente accompagna ogni comportamento potenzialmente
procreativo. In relazione all’art. 269 c.c., che attribuisce la
paternità naturale in base al mero dato biologico, senza alcun
riguardo alla volontà contraria alla procreazione del presunto padre,
è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 cost., in ragione
della disparità di trattamento che ne risulterebbe in danno
dell’uomo rispetto alla donna, alla quale la legge 22 maggio 1978 n.
194 attribuisce la responsabilità esclusiva di interrompere la
gravidanza ove ne ricorrano le condizioni giustificative, e ciò in
quanto le situazioni poste a confronto non sono comparabili,
l’interesse della donna all’interruzione della gravidanza non
potendo essere assimilato all’interesse di chi, rispetto alla
avvenuta nascita del figlio fuori del matrimonio, pretenda di
sottrarsi, negando la propria volontà diretta alla procreazione, alla
responsabilità di genitore, in contrasto con la tutela che la
costituzione, all’art. 30, riconosce alla filiazione naturale.
L’interesse del figlio nato fuori del matrimonio all’accertamento
della paternità naturale non è escluso dall’assenza di
«affectio» da parte del presunto padre nè dalla dichiarazione di
costui convenuto con l’azione di dichiarazione giudiziale ex art.
269 c.c., di non voler adempiere in ogni caso ai doveri morali
inerenti alla potestà di genitore.