Sentenza 22 gennaio 2015
L’ampiezza del sindacato del giudice statale sui provvedimenti
di espulsione adottati all’interno di un gruppo confessionale si
riduce al vaglio del rispetto dei diritti fondamenali concretamente
offerti e, segnatamente, del diritto di difesa, inteso nel suo nucleo
essenziale di sostanziale possibilità di contraddire
all’interno del procedimento di espulsione. Ciò in
quanto nell’ordinamento giuridico italiano la potestà
sanzionatoria e disciplinare di tali gruppi trova una sua propria
fonte (in luogo di quella comune prevista dal codice civile per gli
enti associativi), da una parte, dal combinato disposto costituzionale
di cui agli artt. 7, I° co. e 8, II° co.; e dall’altra
parte, dalla giurisprudenza della Consulta, che ha ribadito nel tempo
la forza e la cogenza di tali precetti, mettendo a fuoco il ruolo
limite costituito dai “principi supremi”
dell’ordinamento statuale. Ne deriva, quindi, secondo il
Tribunale adito, che l’espulsione del singolo adepto a seguito
dell’esplicarsi di quella autonoma potestà organizzativa,
che comprende l’irrogazione di sanzioni, possa essere sindacata
e dichiarata illegittima unicamente laddove questi riscontri la chiara
ed effettiva lesività in concreto dei diritti fondamentali
della persona garantiti dalla Costituzione (art. 2) –
all’esterno e – all’interno delle formazioni
sociali; ossia quando, sulla base dei documenti e delle allegazioni di
causa offerti allo scrutinio giudiziale, si appalesi l’effettiva
attitudine dell’espulsione a recare un danno ingiusto in spregio
ai beni costituzionalmente presidiati (ad es. con modalità tali
da ledere il prestigio, l’onore e la dignità del soggetto
espulso).