Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 19 giugno 2008, n.3076

L’art. 5 della legge n. 152/1975 vieta l’uso di caschi protettivi, o
di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento
della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza
giustificato motivo.
La ratio della norma, diretta alla tutela dell’ordine pubblico, è
quella di evitare che l’utilizzo di caschi o di altri mezzi possa
avvenire con la finalità di evitare il riconoscimento. Tuttavia, un
divieto assoluto vi è solo in occasione di manifestazioni che si
svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di
carattere sportivo che tale uso comportino. Negli altri casi,
l’utilizzo di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il
riconoscimento è vietato solo se avviene “senza giustificato
motivo”. Quanto al “velo che copre il volto”, o in particolare al
burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad
evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione
di determinate popolazioni e culture. Il citato art. 5 consente,
dunque, nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per
motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono
soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e
dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e
alla rimozione del velo, ove necessario a tal fine. Resta fermo che
tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte
di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via
amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il
suddetto utilizzo, purché trovino una ragionevole e legittima
giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze.

Sentenza 16 ottobre 2006, n.645

L’ordinanza sindacale, che interpreti il divieto di uso di caschi
protettivi o di “mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento
della persona”, di cui all’art. 5, primo comma della l. 152/1975, come
espressamente riferibile al “velo che copre il volto”, non può
essere ricondotta a mera diffida al rispetto di una norma già
esistente nell’ordinamento. Per questa fondamentale parte la
disposizione di legge richiamata viene infatti ad essere
indiscutibilmente novata, in quanto all’ordine (di legge) di non
usare mezzi atti a rendere difficile il riconoscimento della persona
si sovrappone l’ordine (sindacale) di considerare tali – a
prescindere da ogni altra interpretazione – anche i tradizionali
veli tipici delle donne musulmane comprensivi di burqua e chador. E’
invece evidente, che a prescindere dai singoli casi concreti in cui
ogni ufficiale di pubblica sicurezza è tenuto a valutare se la norma
di legge possa o meno ritenersi rispettata, un generale divieto di
circolare in pubblico indossando tali tipi di coperture possa derivare
solo da una norma di legge che lo specifichi.

Sentenza 11 dicembre 1997, n.JB40558_2

Numéro : JB40558_2 Date : 1997-12-11 TRIBUNAL DE PREMIERE INSTANCE BRUXELLES, PRESIDENT SIEGEANT EN REFERE Siège : DESMEDTNuméro de rôle : 971775C (omissis) Attendu que l’action est basée sur l’article 584 du code judiciaire et tend, vu l’urgence particulière et au provisoire, à entendre :dire l’action recevable et fondée;en conséquence, ordonner à la défenderesse d’admettre […]

Circolare ministeriale 24 luglio 2000, n.300

Ministero dell’Interno. Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera e postale. Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera. Circolare N. 300.C/2000/3656/A/24.159/1^Div.: “Misure atte ad impedire l’uso in pubblico di capi d’abbigliamento idonei a travisare i tratti delle persone che li indossano”, 24 luglio 2000. (Omissis) Ai Sigg. Questori della Repubblica, […]

Sentenza 27 novembre 1996

Benché l’interessata abbia iniziato a indossare il foulard soltanto
dopo la modifica del regolamento interno dell’istituto che vieta
l’esibizione di segni di appartenenza religiosa, non risulta dagli
atti che l’interessata abbia inteso, nel caso di specie, usare il velo
al fine di esercitare atti di pressione o di proselitismo.

Sentenza 10 luglio 1995

La Circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale, che invita i
dirigenti degli istituti scolastici a proporre ai relativi consigli di
amministrazione di introdurre nei regolamenti interni una norma che
vieti di portare negli istituti stessi segni di appartenenza
religiosa, non può considerarsi illegittima. Una tale circolare non
contiene infatti alcuna disposizione dotata di efficacia tale da
cambiare lo stato del diritto vigente in violazione del principio che
consente agli studenti di indossare all’interno degli istituti
scolastici segni di appartenenza religiosa, ma consiste piuttosto in
un mero invito ad assumere misure di ordine interno considerate utili
a giudizio del Ministro dell’Educazione Nazionale. (

Sentenza 10 marzo 1995

Non è incompatibile con il principio di laicità portare negli
istituti scolastici, da parte degli studenti, segni di appartenenza
religiosa nella misura in cui non venga compromesso l’ordinato
svolgimento dell’attività di insegnamento. Pertanto, qualora il
suddetto limite venga violato il provvedimento di espulsione assunto
dalle competenti autorità scolastiche risulta essere legittimo.

Decisione 03 maggio 1993, n.16278/90

Non contrasta con la libertà di religione, tutelata dall’art. 9
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la disposizione
regolamentare con la quale una università laica – al fine di
assicurare il rispetto dei diritti di libertà di tutti i suoi
studenti – impone che anche il diploma da essa fornito non rifletta in
alcun modo l’appartenenza ad un determinato movimento religioso e
che quindi la foto in esso riprodotta raffiguri l’allievo a capo
scoperto in una tenuta conforme alla detta norma regolamentare.