Sentenza 05 novembre 1992, n.467
Le disposizioni dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 20
del d.P.R. n. 598 del 1973, che agli effetti dell’I.V.A. e,
rispettivamente, dell’I.R.PE.G., considerano estranee al concetto di
esercizio di impresa, e perciò non soggette ad imposizione, se
effettuate da, o per, associazioni religiose, la cessione di beni e la
prestazione di servizi agli associati e la corresponsione, da parte di
questi, di quote sociali, sono norme di diritto tributario comune,
applicabili a tutte le associazioni che presentano i requisiti
soggettivi previsti e nei limiti oggettivi delle attività e finalità
precisate, senza che sia rilevante l’eventuale rapporto delle
associazioni con gli ordinamenti di chiese o di confessioni. Neanche
il diritto speciale posto da fonti di derivazione bilaterale, che
disciplinano la condizione giuridica degli enti di singole confessioni
religiose (cfr. art. 7, terzo comma, dell’Accordo ratificato con legge
25 marzo 1985, n. 121, 23, terzo comma, della legge 22 novembre 1988,
n. 516, 27, secondo comma, legge 8 marzo 1989, n. 101) – diritto
speciale che comunque non sarebbe utile elemento di comparazione –
consente di affermare che le suddette agevolazioni non spettino agli
enti associativi delle confessioni con intesa. è quindi da escludersi
che al riguardo si sia riservato – come sostenuto dal giudice ‘a quò
– alle associazioni non riconosciute un ingiustificato maggior favore,
rispetto alle confessioni religiose che hanno disciplinato
bilateralmente le loro relazioni con lo Stato, lesivo degli artt. 3, 8
e 53 della Costituzione.