Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 21 settembre 2006, n.20442

Fermo restando che caposaldo fondamentale dell’attività economica
è l’organizzazione, da parte di taluno – con rischio proprio – dei
fattori della produzione, nel caso delle organizzazioni di tendenza,
dove l’assenza della finalità di lucro ha un significato
evidentemente rafforzativo dell’esclusione d’imprenditorialità,
essendo quest’ultimo elemento di per sé connaturale alla “area di
non applicazione” dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,
il dato dirimente per l’ammissione al beneficio di legge consiste
nel fatto che, dal punto di vista lavorativo, l’attività – per come
prestata ed, a vario titolo, respinta dal datore di lavoro che intenda
avvalersi del beneficio d’esclusione – deve innestarsi e realizzare
direttamente le finalità politiche, sindacali, culturali,
d’istruzione, di religione o culto; in tali casi, infatti,
l’attività del lavoratore si compenetra ed attua immediatamente i
fini dell’ente, senza il diaframma operativo neutrale costituito
dall’intrinseca valenza meramente aziendalistica della prestazione.
Si può in ogni caso riconoscere l’esistenza di un’attività
imprenditoriale, estranea all’area di attuazione dell’articolo 4,
della legge n. 108/1990, in base al solo criterio della mera
economicità di gestione, funzionalmente diretta all’equilibrio tra
costi e ricavi, senza la necessità di includere il fine di lucro, che
giustifica l’esclusione dell’applicazione dell’articolo 18, nel
momento in cui non si evidenzia una consistenza imprenditoriale
all’attività esercitata (Nel caso di specie, una società editrice
eccepiva la violazione e l’errata applicazione dell’articolo 4 della
legge 108/1990, negando di poter essere considerata, ai fini della
procedura di reintegrazione prevista dall’articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori, imprenditore, ma ente senza fini di lucro con “unica
e primaria finalità di affermare la dottrina e il credo
cattolici”).

Sentenza 26 febbraio 2004, n.3892

Le controversie circa la validità o l’efficiacia dell’atto
costitutivo di una fondazione rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario, in quanto il negozio di fondazione integra un atto
di autonomia privata, che non partecipa della natura del provvedimento
amministrativo di riconoscimento. Pertanto, detto negozio deve
ritenersi regolato, sotto il profilo della validità, dalle norme
privatistiche. Tale disposizioni trovano applicazione anche con
riferimento alle fondazioni ecclesiastiche, non risultando – al
riguardo – di ostacolo la previsione di cui all’art. 20, comma 1,
della Legge n. 222 del 1985, la quale si limiita a disciplinare le
modalità di recepimento nell’ordinamento statale dei provvedimenti di
soppressione o estinzione dell’Ente ecclesiastico da parte della
competente Autorità confessionale, senza incidere in alcun modo sulla
distinzione tra atto negoziale di costituzione dell’Ente e
provvedimento ecclesiastico di creazione o soppressione dello stesso
nel relativo ordinamento.

Sentenza 07 novembre 2003, n.16774

L’attività didattica o sanitaria svolta dal religioso, nell’ambito
della propria Congregazione e quale componente di essa, secondo i voti
pronunciati, non costituisce prestazione di attività di lavoro
subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., soggetta alle leggi dello
Stato italiano, bensì opera di evangelizzazione “religionis causa”
in adempimento dei fini della Congregazione stessa, regolata
esclusivamente dal diritto canonico; detta attività non legittima,
quindi, il religioso alla proposizione di domande dirette ad ottenere
emolumenti, che trovano la loro causa in un rapporto di lavoro
subordinato; né incide, al fine della ammissibilità di tali
richieste, che l’opera prestata abbia avuto luogo presso enti
gestiti direttamente dalla congregazione di appartenenza, svolgenti
attività imprenditoriali, rilevando unicamente la conformità delle
mansioni svolte ai compiti di pertinenza in forza dei voti
pronunciati. La fattispecie tipica del rapporto di lavoro subordinato
è infatti caratterizzata non solo dagli elementi della collaborazione
e della subordinazione, ma anche dell’onerosità e, pertanto, non
ricorre nel caso in cui una determinata attività, ancorché
oggettivamente configurabile quale prestazione di lavoro subordinato,
non sia eseguita con spirito di subordinazione né in vista di
adeguata retribuzione, ma “affectionis vel benevolentiae causa” o
in omaggio a principi di ordine morale o religioso. L’accertamento
della sussistenza o meno di cause oggettive e soggettive
giustificative della gratuità di prestazioni obiettivamente
lavorative – alla cui ammissibilità, rientrando nella sfera
dell’autonomia privata, non si oppone alcun principio di diritto
costituzionale o comune – è rimesso al giudice di merito.